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“Alluvione Emilia-Romagna: il cambiamento climatico non c’entra niente” Parla il prof. Stefano Orlandini

Alluvione Emilia Romagna

Conversazione con il prof. Stefano Orlandini, ordinario dell’Università di Modena e Reggio Emilia, docente di costruzioni idrauliche e idrologia, sull’alluvione in Emilia-Romagna

È salito a 13 il numero delle vittime dell’alluvione in Emilia-Romagna. Sulla regione si è riversata per tre giorni una montagna d’acqua che ha causato danni che il presidente della Regione Stefano Bonaccini stima in “qualche miliardo di euro”. Una condizione di estrema difficoltà che vede coinvolti 42 comuni e che ha lasciato senza elettricità 18.500 persone. A complicare la situazione e a rendere più difficoltosi i soccorsi le numerose frane e smottamenti che stanno mettendo in crisi la viabilità soprattutto negli Appennino. Insomma, un quadro drammatico del quale si prova a capire le cause.

Proprio di questo abbiamo parlato con il prof. Stefano Orlandini, ordinario dell’Università di Modena e Reggio Emilia, docente di costruzioni idrauliche e idrologia.

Secondo un rapporto dell’ISPRA sul dissesto idrogeologico il 93% dei comuni italiani è a rischio idrogeologico. Quali sono le cause?

Si parla sempre di rischio idrogeologico in questo caso, parlando di alluvioni, si dovrebbe parlare di rischio idraulico e al limite di rischio idrologico. Andando più sulla sostanza distinguerei fra due fattori. Il primo è la sollecitazione climatica, si associano spesso eventi di questo tipo al cambiamento climatico. Il cambiamento climatico esiste ed è in atto, non ci sono dubbi su questo. Tuttavia, eventi come quelli che abbiamo vissuto in questi giorni in Romagna sono da ascrivere alla variabilità naturale dei processi, cioè sono eventi che possono verificarsi come eventi rari. Il cambiamento climatico può avere un ruolo ma, al di là del cambiamento climatico, eventi come quelli che si sono verificati si possono verificare, sebbene in modo molto raro e con probabilità basse.

E il secondo aspetto?

Il secondo aspetto invece è come la società si attrezza rispetto a questi eventi. Qui ci sono le note dolenti perché una società moderna deve essere in grado di controllare, nel senso di sopportare, eventi meteorologici anche rari, anche eventi che si verificano una volta ogni 200 anni, ogni 500 anni. Per quanto riguarda la sicurezza dei nostri corsi d’acqua la consuetudine in ambito tecnico scientifico, che è supportata da un’analisi economica, ci dice che noi dovremmo smaltire le portate di piena con tempo di ritorno di 200 anni, cioè che ogni anno hanno una probabilità di accadimento di 1/200, quindi sono eventi molto rari. Ecco il punto è questo: in Italia non siamo, spesso, nella condizione di sicurezza adeguata questa è la ragione fondamentale.

L’Emilia-Romagna insieme alla Lombardia è una delle regioni che ha un più alto consumo del suolo. Ha avuto un ruolo nell’alluvione?

Allora in termini tecnici “consumo del suolo” ha un significato diverso dal significato giornalistico: quindi io direi di parlare di urbanizzazione. Allora l’urbanizzazione ha un effetto sulle piccole piene e a livello locale. Quindi se ho una pioggia intensa, come quelle che abbiamo visto in questi giorni, gli effetti dell’eccesso di urbanizzazione li vediamo ai margini dei centri urbani di grandi dimensioni. Effetti che vanno controllati, sicuramente. Se, però, parliamo di grandi piene, quindi piene con eventi rari su porzioni larghe di territorio come quella della Romagna, l’urbanizzazione non ha effetti. In quei casi conta la sollecitazione climatica e la capacità del nostro territorio, cioè delle sistemazioni idrauliche, di risponde alla sollecitazione climatica e alla sollecitazione idrologica. In Romagna abbiamo avuto eventi con circa 200-250 mm di precipitazione diffusi su un’area vasta.

Quella precipitazione è arrivata dopo un altro evento di precipitazione dei primi di maggio, con altri 250 mm. Ecco qual è l’effetto di questi due eventi combinati? La prima precipitazione satura il suolo, la seconda trova un suolo che è poco permeabile per effetto della saturazione. Quindi in quei casi, e qua parliamo di eventi rari, il suolo rurale e quello urbano si comportano quasi nello stesso modo. Quindi l’effetto dell’urbanizzazione c’è e va controllato, però se vogliamo dire le cose come stanno l’urbanizzazione non è la causa principale di questi eventi.

Nella gravità dell’alluvione in Emilia-Romagna può aver giocato un ruolo anche la siccità dei mesi scorsi?

Ho sentito questa ricostruzione ma non sono d’accordo. Le precipitazioni su un suolo secco vengono assorbite di più rispetto a un suolo saturo. Nella teoria dell’infiltrazione la “parola magica” che spiega questi fenomeni è la capillarità. Ci sono dei fenomeni molto particolari nei quali si forma una crosta di suolo poco permeabile ma direi che questo è un processo che riguarda aree molto aride e non è proprio il nostro caso. Io non credo che abbia avuto un ruolo determinante, solitamente un suolo secco assorbe più acqua rispetto a un suono saturo, in una prima fase.

Ci sono due processi per l’assorbimento delle acque da parte del suolo: la capillarità e l’effetto gravitazionale. L’effetto capillare è quello che determina un maggior assorbimento nella prima parte del fenomeno ma se viene una precipitazione, con una grande entità, la prima parte della precipitazione satura il suolo e la seconda fornisce il contributo alla piena. Per questo motivo un suolo, in una grande piena, un suo rurale tende a comportarsi come un suolo urbano, e un suolo secco assorbe di più di un suolo saturo.

Quali sono le azioni da mettere in campo per evitare che eventi come l’alluvione in Emilia-Romagna abbiano questa forza così distruttiva?  Tali azioni sono previste sono tra i programmi finanziati con il PNRR?

Questo è il punto centrale: come attrezzarsi per rispondere a questi eventi. In alcuni testi di idrologia che io amo molto: in idrologia gli eventi sono tanto più importanti quanto più sono rari. Questa cosa non è banale. Anche in tempo di siccità bisogna pensare a eventi alluvionali che si verificano una volta ogni 200 anni, è necessario per minimizzare costi per la società. Perché la società sopporta due tipi di costi: le misure di prevenzione e i danni. Se noi non ci attrezziamo il costo totale per la società è maggiore, quindi abbiamo un livello di rischio ben definito e a quel livello rischio la società italiana deve tendere, ben venga se questo viene fatto attraverso i fondi del PNRR. Questo è un investimento per il futuro, è un investimento che doveva essere fatto in passato. Sono circa 15 anni che dico sempre le stesse cose, ma non solo io, il salto che a livello di società nazionale dobbiamo fare è capire che se investiamo nella prevenzione delle alluvioni, alla fine, avremo fatto un investimento economicamente vantaggioso.

Cosa manca al nostro paese in quest’ambito?

Quello che manca è rendere i nostri corsi d’acqua in grado di smaltire gli eventi con un tempo di ritorno il 200 anni, questo è quello che bisogna fare e bisogna farlo bene. Nel nostro paese non mancano le conoscenze, l’Italia è il paese che ha fondato l’idraulica e ha fondato l’idrologia. Ma anche oggi gli scienziati italiani sono capaci di individuare i problemi e di risolverli. Il PNRR fornisce risorse, secondo me è un’occasione che non si può mancare, è proprio il tipico investimento per il futuro. Va bene investire in una serie di provvedimenti per la mitigazione degli effetti sul cambiamento climatico ma bisogna investire anche per avere un territorio che sia resistente rispetto agli eventi rari, ci sono e sono rari per loro natura, ma si possono verificare e l’esempio dell’alluvione in Emilia-Romagna è uno di questi.

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