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“Autonomia differenziata: non si calpestino i diritti del Sud”. Parla Boccia

Autonomia Differenziata

Conversazione con l’ex ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia sul tema dell’autonomia differenziata: quali i rischi, le opportunità e l’azione delle opposizioni

Entro la fine di gennaio dovrebbe essere portato in Parlamento un disegno di legge sull’autonomia differenziata, pensato, voluto e difeso dal ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli. Quella che al momento è solo una proposta ha già messo in allarme numerosi amministratori locali del meridione che, in un’azione bipartisan, hanno scritto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per essere ricevuti ed ascoltati.

Sono diversi i punti della riforma che non convincono l’opposizione. A iniziare dalla ratio stessa della norma che, secondo alcuni rilievi, non garantirebbe la giusta attenzione alle necessità di coesione e solidarietà nazionale.

Abbiamo approfondito la questione con Francesco Boccia, parlamentare del Partito Democratico e fino al 2021 ministro per gli affari regionali. 

La riforma dell’autonomia differenziata è importante per il nostro Paese?

L’autonomia differenziata, se è attuazione del principio di sussidiarietà, rafforza l’unità nazionale. Non sono parole mie ma del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Spesso, invece, soprattutto in ambienti leghisti e non di certo in buona fede, si fa l’errore di parlare di autonomia soltanto legandola all’articolo 116 comma 3 della Costituzione quando va assicurata l’attuazione anche degli articoli successivi, 117, 118 e 119 finalizzati a garantire coesione, solidarietà nazionale e decentramento amministrativo agli Enti locali nel rispetto del principio di sussidiarietà. L’autonomia, se attuata nel rispetto della Costituzione, potrebbe essere un modo per velocizzare la macchina amministrativa del nostro Paese, spesso rallentata dall’eccessiva burocrazia.

La riforma dell’autonomia differenziata si pone nella scia della riforma costituzionale del Titolo V del 2001. Secondo lei su quali aspetti della riforma del 2001 la nuova riforma dovrebbe intervenire?

Premetto che nel 2001, da professore universitario, ho criticato fortemente ed ero contrario alla riforma del Titolo V e fa sorridere sentire oggi molti di coloro che furono gli artefici di quella riforma dirci, anche con una certa saccenza, come e cosa fare sull’autonomia. A volte basterebbe semplicemente saper leggere e applicare la nostra Costituzione che parla di autonomia differenziata legata alla coesione sociale e alla solidarietà nazionale. Il Paese è uno e indivisibile e lo Stato deve agire per rimuovere gli squilibri economici e sociali e per garantire i diritti della persona. Se si rispettano questi principi avremo un’autonomia che rafforza l’unità nazionale, se Calderoli e la Lega pensano di fare fughe in avanti, pensando solo alle risorse da mandare alle regioni del nord allora si spacca il paese e non lo consentiremo.

Secondo lei quali sono gli aspetti sui quali si dovrebbe lavorare affinché questa riforma non attivi un processo disgregativo?

Leggendo le bozze del ministro Calderoli il rischio di spaccare il Paese in due è molto alto. Noi non permetteremo che a farne le spese siano i cittadini del Sud, delle aree interne e delle aree di montagna. Prima di parlare di qualsiasi forma di autonomia serve mettere sul tavolo le risorse. Quindi, prima definiamo i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) su scuola, sanità, assistenza e trasporto pubblico locale, mettiamo le risorse necessarie in un fondo di perequazione e poi parliamo di autonomia. Tradotto, prima diciamo con chiarezza quali e quante risorse saranno destinate al Sud, alle aree interne e alle aree di montagna per colmare i divari su quelle quattro materie e poi potremo procedere con un decentramento amministrativo spinto di tutte le altre materie.

Perché è rischioso che i Lep siano definiti attraverso una cabina di regia con un Dpcm? Ricorrere al metodo della “spesa storica” quali regioni potrebbe favorire?

Le materie Lep altro non sono che i diritti universali che lo Stato ha il dovere di garantire, indistintamente a tutti i cittadini da nord a sud, nelle aree interne e di montagna come nelle aree metropolitane. Definirli attraverso un Dpcm, attraverso un atto amministrativo, sarebbe poco rispettoso nei confronti degli italiani; un tema così importante, che impatta sulla vita degli italiani, va disciplinato con una legge ordinaria discussa e approvata in Parlamento. Ricorrere al metodo della spesa storica sarebbe l’ennesima beffa per il Sud perché vorrebbe dire mantenere lo status quo, significherebbe cristallizzare le differenze senza fare alcun passo in avanti. Noi, invece, quei divari che si sono acuiti con la pandemia vogliamo colmarli, era uno degli obiettivi del Pnrr quando nel 2020 con il governo Conte II negoziammo in Europa e portammo a casa i 209 miliardi.

Numerosi sindaci del sud Italia (al momento 120) hanno scritto una lettera al Presidente Mattarella preoccupati dal fatto che questa riforma possa acuire il divario tra nord e sud. Cosa ne pensa?

Se ci sono dei sindaci che ogni giorno vivono sulla propria pelle le difficoltà dell’azione amministrativa e mettono nero su bianco tutte le loro preoccupazioni, queste vanno ascoltate. Il disegno di Calderoli preoccupa nel metodo utilizzato, perché non ha coinvolto le Regioni e gli enti locali e vorrebbe esautorare il Parlamento, e nel merito perché l’unico obiettivo è liberare risorse per il nord calpestando i cittadini del sud e delle aree più in difficoltà del Paese.

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