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Baruffe democratiche

Letta Pd

I Graffi di Damato. Altro che Salvini o Conte, il problema di Draghi è diventato Enrico Letta

Dario Franceschini, ancora capo della delegazione del Pd al governo, se qualcuno al Nazareno non lo ha rimosso senza dirci nulla, ha provato inutilmente nelle settimane scorse a ridurre la conflittualità del nuovo segretario del partito Enrico Letta con Matteo Salvini, ricordandogli che la coalizione guidata da Mario Draghi è speciale, di emergenza, fatta di avversari che si debbono sopportare per il bene del Paese, e non strattonarsi ogni giorno perché uno dei due caschi dal banco o dal palco.

Poiché Enrico Letta ha finto di non capire e non sentire ed ha continuato nella sua linea comunemente chiamata di sinistra, secondo i vecchi schemi politici accantonati al Quirinale da Sergio Mattarella mandando Draghi a Palazzo Chigi, è dovuto intervenire abbastanza infastidito lo stesso presidente del Consiglio. Che ha liquidato pubblicamente la proposta del segretario del Pd, fatta apposta per inseguire la pur nebulosa, ormai, del Movimento 5 Stelle, di aumentare progressivamente, sino al 20 per cento, le tasse di successione sui patrimoni sopra il milione di euro per finanziare una “dote” di diecimila euro ad almeno una metà dei diciottenni. Molti dei quali dovrebbero pagarsi questa dote come eredi di genitori non abbienti che passano a miglior vita, e non possono certo pagare loro la maggiore imposta dall’aldilà.

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Un milione di euro sembra tantissimo, ma – se ci pensate su con un po’ più giudizio di Enrico Letta – capirete subito che bastano due appartamenti in città e un conto in banca di cento o duecentomila euro per entrare nel pollaio dove il segretario del Pd vorrebbe fare entrare una volpe assatanata del fisco. Draghi, che i conti sa farli appunto meglio di Letta, e non è certamente quel Re Sole ridicolmente vestito e imparruccato dal Fatto Quotidiano sulla prima pagina di oggi, ha liquidato come inopportuna, quanto meno, la proposta del segretario del Pd in un momento in cui il governo si è proposto di dare e non togliere soldi agli italiani colpiti dalla pandemia e dal resto. Più rudemente, ed efficacemente, il vignettista del Foglio, Makkox, ha tradotto così la risposta del presidente del Consiglio: “Enrico, questo è il momento di consolare i coglioni, non di romperli”.

Presumo che Enrico, appunto, non abbia gradito, visto che gli è stata attribuita questa replica dalla Stampa ed altri giornali: “Io guido la sinistra”. Cioè, vorrebbe guidare la sinistra scavalcando i suoi ex compagni di partito usciti ai tempi di Matteo Renzi al seguito di Pier Luigi Bersani. Che ancora ieri sera, a Piazza Pulita, ospite di Corrado Formigli, si lasciava sbeffeggiare sorridendo da Alessandro Di Battista. Il quale ormai sta al Movimento 5 Stelle affidato da Grillo alle ambizioni di Giuseppe Conte come lo stesso Bersani al Pd del già citato Renzi.

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Peccato che non ve ne possa fare il nome per vincoli di riservatezza violando i quali non riceverei più confidenze da nessuno, ma un signore abbastanza autorevole del Pd mi ha parlato di Enrico Letta come certi cardinali nel 1978 parlavano fra di loro dell’appena eletto Papa Luciani per le stranezze che, secondo loro, diceva riuscendo pericolosamente, sempre secondo loro, a piacere a molti fedeli. Il Papato Luciani durò, come si sa, solo 32 giorni, che Letta ha tuttavia felicemente superato, essendo stato eletto segretario del Pd il 14 marzo scorso, cioè più di due mesi fa.

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