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Tutti i Botti (e le botte) a 5 stelle

5 stelle Di Maio Conte

I graffi di Francesco Damato su quello che sta accadendo nel Movimento 5 Stelle dopo le dimissioni di Lorenzo Fioramonti da ministro della Pubblica Istruzione

Non è detto che Giuseppe Conte, per quanto abile nella gestione degli affari di Palazzo Chigi, come ha dimostrato rimanendovi alla testa di due maggioranze non diverse ma opposte, riesca a proteggersi del tutto dai “botti di fine anno tra i 5 Stelle”, come ha titolato in prima pagina La Gazzetta del Mezzogiorno. O dalle botte che si avvertono in altre cronache giornalistiche sulle risse esplose nel movimento grillino dopo le dimissioni di Lorenzo Fioramonti da ministro della Pubblica Istruzione. Che sono state presentate formalmente contro i finanziamenti alla scuola negati nel bilancio dal superministro piddino dell’Economia Roberto Gualtieri, ma sostanzialmente contro Luigi Di Maio, capo ancòra della formazione pentastellata e della relativa delegazione al governo, che non avrebbe sostenuto abbastanza la posizione del suo ormai ex collega.

Sentitosi sotto attacco in una situazione già indebolita dalla copertura relativa che gli fornisce ogni tanto Beppe Grillo dicendo che questo non è il momento di sostituirlo alla guida del movimento, Di Maio ha sollecitato un “rilancio” dell’azione di governo. E ha chiesto vertici, verifiche e quant’altro già dal 7 gennaio, una volta spacchettati i doni della Befana.

Più che sul “rilancio”, pur proponendosi certamente di allungare il passo, il presidente del Consiglio si è però preoccupato di mettere l’accento sulla “stabilità” di cui ha bisogno la variegata, forse troppo variegata coalizione giallorossa. Ed è proprio in funzione della stabilità che egli ha praticamente ammonito il dimissionario Fioramonti a non allestire gruppi parlamentari di dissidenti o transfughi grillini per sostenere il presidente del Consiglio meglio del troppo ondivago Di Maio, perché la maggioranza -ha detto Conte- avrebbe tutto da rimettere in una ulteriore frammentazione, dopo l’uscita di Matteo Renzi dal Pd. E il presidente del Consiglio sa bene quanti problemi gli abbiano già procurato i renziani e quanti ancora potrebbero creargli: per esempio, sul tema scivolosissimo della nuova disciplina della prescrizione, che sta per scattare grazie alla legge “spazzacorrotti” approvata dalla precedente maggioranza gialloverde per magnanima concessione fatta l’anno scorso dai leghisti al guardasigilli grillino Alfonso Bonafede.

Allora Matteo Salvini, frenando la sua consigliera e ministra della funzione pubblica Giulia Bongiorno, consentì che la prescrizione fosse bloccata dal 1° gennaio del 2020 con la sentenza di primo grado anche senza la contemporanea riforma del processo penale, necessaria invece per evitare che un imputato rimanesse tale a vita, pur essendo stato assolto nel primo giudizio con una sentenza impugnata dall’accusa. Il leader leghista ritenne che si sarebbe fatto in tempo a tutelare davvero entro il 2019 la ragionevole durata del processo garantita dall’articolo 111 della Costituzione.

Il Pd, subentrato alla Lega nel governo dopo la crisi agostana provocata da Salvini, ha fatto di tutto nelle scorse settimane per riaprire il discorso e smuovere dalla rigidità il guardasigilli, ma inutilmente. Prima ha evitato, per lealtà di coalizione o maggioranza, di votare una modifica alla “spazzacorrotti” proposta dal centrodestra. Poi ha annunciato la presentazione di un suo progetto di legge per la sospensione del conteggio della prescrizione dopo il primo grado sino a tre anni e mezzo per tutelare l’imputato in appello e in Cassazione, ma precisando di non voler contare sui voti dell’opposizione per farlo passare, cioè rinunciandovi in caso di confermato dissenso dei grillini, o sperando che nel frattempo il problema venga risolto con qualche intervento della Corte Costituzionale.

A questo punto sono intervenuti i renziani con Davide Faraone per annunciare che anche loro presenteranno un progetto di modifica della nuova disciplina della prescrizione, ma decisi a farlo passare comunque, anche spaccando la maggioranza con i voti dell’opposizione e sfidando i grillini alla crisi. “Non pensino i 5 Stelle che siccome hanno fregato Salvini, ora riescono a fregare anche noi”, ha testualmente dichiarato il senatore della renziana Italia Viva al Corriere della Sera.

Tutti I graffi di Francesco Damato

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