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“Ha ragione Nordio, serve la separazione delle carriere”. Parla Bruno Bossio (Pd)

Giustizia: i casi Del Mastro e Santanchè riaprono lo scontro tra politica e magistrati. Conversazione con l’on. Vincenza Bruno Bossio (PD)
Due casi politico-giudiziari hanno riattivato la tensione, mai sopita, tra politica e magistrati. Il primo è il caso Del Mastro delle Vedove che ha visto il Gip decidere per l’imputazione coatta del viceministro della giustizia indagato per rivelazione di segreto d’ufficio in relazione al caso Cospito, anarchico detenuto al 41 bis. Il secondo è il caso che ha coinvolto la ministra Daniela Santanché e le sue attività imprenditoriali.
Sullo sfondo c’è la riforma della giustizia e la volontà del governo di procedere con la separazione delle carriere.
Di tutto questo ne abbiamo parlato con l’onorevole Vincenza Bruno Bossio, fino al 12 ottobre 2022 deputato del PD.
Il caso Del Mastro delle Vedove e il caso Santanché hanno riacceso lo scontro tra politica e magistratura. Non è insolito che un Gip chieda l’imputazione del viceminisitro Del Mastro sebbene il Pm abbia chiesto l’archiviazione?
Beh, in questo caso io non vedo uno scontro fra politica e magistratura, ma fra magistratura e magistratura, perché il Pm aveva chiesto il proscioglimento e il Gip invece vuole l’imputazione coatta. Ora come finirà? Lo scopriremo vivendo, ma nel frattempo penso che la politica c’entri poco. Nel senso che il Gip, così come si era mosso autonomamente il PM nella richiesta di proscioglimento, si è mosso altrettanto autonomamente. Sono due interpretazioni della magistratura. Succede spesso che, per esempio, il PM chiede l’arresto per degli indagati e invece il Gip lo neghi o invece, in altri casi lo confermi, cioè è una dinamica interna alla magistratura e, pertanto, molto autonoma. In questo caso non ci vedo uno scontro fra politica e magistrati. Diciamo che sebbene in Italia non ci sia la separazione delle carriere ognuno si è mosso secondo le proprie idee e la propria interpretazione dei fatti.
Il secondo è il caso del ministro Santanché la quale ha detto di aver saputo della sua imputazione a mezzo stampa. Lei che idea si è fatta?
Anche qui il tema è un poco complicato dalla farraginosità, diciamo così, del rapporto fra giustizia e cittadino. L’avviso di garanzia, come dice la parola stessa, è un atto che tutela il cittadino e l’indagato. La magistratura avvisa che il cittadino è sottoposto a un’indagine. Nel momento in cui arriva l’avviso non c’è un’indicazione di colpevolezza perché siamo ancora nella fase preliminare dell’indagine. Poi la fase in cui l’imputato diventa indagato è quella del rinvio a giudizio, ma fino all’avviso di garanzia il cittadino è indagato e quindi presunto innocente, non presunto colpevole. Ecco, io sto parlando a prescindere dal fatto che l’indagato sia la ministra Santanchè o Enza Bruno Bossio. E qui la situazione è particolarmente grave, perché l’avviso di garanzia non è arrivato al cittadino, ma è uscita la notizia, o attraverso delle indiscrezioni della stampa o, peggio ancora, mi sembra, attraverso fonti non esplicite della Procura. Dico fonti non esplicite perché se i magistrati volevano agire informando un cittadino delle indagini a suo carico, avrebbero dovuto mandare l’avviso di garanzia. Se invece la Procura dichiara alla stampa che un cittadino è indagato, insomma, qui siamo fuori dalla legge.
Può succedere che un cittadino sia indagato senza saperlo?
Certo, si può avere un’indagine senza che il cittadino lo sappia, ma nel momento in cui questa indagine diviene pubblica, tra virgolette, perché, come hanno detto queste fonti della Procura, sono finiti i tre mesi di riservatezza, il cittadino, a questo punto, dovrebbe chiedere alla Procura se è sotto indagine. Però pensiamo a un cittadino non famoso, che non è sottoposto a questa informazione tramite stampa, non gli passa nemmeno per il testa di andare in Procura a chiedere se è indagato. E sa quante persone sono state indagate e poi prosciolte, non hanno mai saputo di essere state indagate perché appunto non gli è mai arrivato un avviso di garanzia.
Quindi secondo lei come dovrebbe risolversi la questione che riguarda la ministra Santanchè?
Credo che cosa più giusta che possa accadere è che se la ministra Santanchè è indagata riceva un avviso di garanzia, in questo modo si potrebbe generare la massima trasparenza. Anche qui non parliamo di relazione tra Procura e politica, ma fra Procura e cittadino.
È necessaria una riforma del dell’avviso di garanzia?
Ma non so se sia necessaria una riforma. Forse basterebbe applicare la norma per la quale se uno è indagato viene comunque avvisato, ma se non lo si è voluto avvisare sinora, ormai che è diventata una polemica pubblica, la Procura dovrebbe mandare l’avviso di garanzia alla ministra Santanchè.
Secondo lei, se la ministra Santanchè dovesse ricevere un avviso di garanzia, dovrebbe dimettersi?
No.
Risposta secca…
Sì. Ecco, io non penso che la Santanchè, e nessun altro, si dovrebbe dimettere perché ha avuto un avviso di garanzia. La Santanchè si dovrebbe dimettere perché ci potrebbe essere un elemento “etico”: un rappresentante dello Stato non può non pagare i propri dipendenti. Per questo può dimettersi ma non perché ha ricevuto l’avviso di garanzia, se è vero che è indagata perché non ha pagato i dipendenti. Anche se è tutto da dimostrare e qui viene l’elemento di garanzia. Quindi io dico che c’è il livello di valutazione politica che non può essere confuso con l’elemento dell’indagine, l’autonomia della politica e l’autonomia della magistratura sono due aspetti che devono essere rispettati reciprocamente.
Il PD, il suo partito, ha chiesto le dimissioni del ministro Santanchè. Cosa ne pensa?
Non mi piace, devo dire la verità. I miei colleghi di partito confondono l’autonomia della politica e l’autonomia della magistratura. Gridano allo scandalo perché si è aperto il conflitto tra politica e magistratura ma i politici e i legislatori devono, semplicemente, verificare che ci sia una piena autonomia dei poteri. Questa è la forza della costituzione: la separazione dei poteri afferma lo Stato di diritto. Se invece un politico si allarma perché la un’altra parte politica attacca la magistratura allora c’è qualcosa che non funziona.
Secondo lei una parte del suo partito, almeno negli anni passati, ha utilizzato la sponda della magistratura come arma di lotta politica?
Guardi: magari. Mi scusi se faccio questa affermazione che sembra un poco cinica. Ho la sensazione che questo l’abbia fatto più il centrodestra che la sinistra? Il punto vero è che il Pd, ma prima ancora DS, diciamo dal ‘92 in poi, hanno immaginato di fare una lotta politica attraverso la magistratura ma non usando i magistrati, usando questo moralismo, per cui uno era colpevole solo perché si chiamava Verdini, per dire. Ecco questa cosa è stata sbagliata da parte della sinistra e anche di quelle che erano gli antenati del PD. Pensare che si potesse valutare la colpevolezza o l’innocenza sulla base di una valutazione etica. Proprio come si sta facendo adesso con la ministra Santanchè. Io l’avrei criticata ferocemente per quell’utilizzo della Venere di Botticelli nella campagna pubblicitaria, proprio l’avrei mandata a casa, così come Sangiuliano che non legge i libri prima di andare in giuria del Premio Strega. Ecco, questi sono gli elementi per cui chiedere la dimissioni. Ma se si mescola l’elemento giustizialista con la valutazione politica, secondo me si causa un cortocircuito che danneggia il paese. Questa è la mia idea.
Il ministro Tajani ha ribadito che il governo vuole andare nella direzione della separazione delle carriere. Cosa ne pensa?
Io mi batto da anni per la separazione delle carriere. Nella scorsa legislatura ho appoggiato la proposta di legge di iniziativa popolare dell’Unione Camere Penali, ed eravamo arrivati nella Commissione giustizia anche a un buon punto di discussione. Perché sono convinta che in Italia abbiamo uno strapotere dei PM che rischia di assoggettare il resto della magistratura. E questa è una cosa che non può funzionare. Lo dice bene Nordio, noi abbiamo iniziato, in Italia, un percorso di revisione del processo secondo un modello anglosassone, però la pubblica accusa, in America ha le stesse caratteristiche della difesa. Cioè i magistrati giudicanti e requirenti non condividono gli stessi uffici. Se si fa la separazione delle carriere si porta avanti fino in fondo quella modifica del processo che è iniziata con Vassalli.
Il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Giuseppe Santalucia ha detto che è la magistratura, nell’esercizio delle sue funzioni, a essere accusata di interferenza e non l’ANM. Cosa pensa di questa posizione?
Allora, premesso che stimo molto Santalucia, è tra i magistrati che stimo di più, penso che in questo caso faccia il suo mestiere, cioè faccia il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, ovvero difenda la categoria. E per difendere la categoria è di parte. Perché se volessimo vedere tutti i momenti in cui la magistratura, o meglio i PM, hanno attaccato la politica, le farei un lungo elenco di Presidenti di regione, di sindaci, di amministratori che sono stati fatti fuori da indagini che poi dopo anni sono finite con proscioglimenti, con archiviazione o con assoluzioni perché il fatto non sussisteva. E questo come lo vogliamo chiamare, non lo vogliamo chiamare attacco alla politica? E perché di questo Santalucia che, ripeto, è persona seria, non ne parla? Giustamente, Santalucia difende i suoi, eppure diciamo una parte della politica, cioè Pd e il Movimento 5 Stelle, difendono i suoi. Siamo alla fine della separazione dei poteri.