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Caporalato, quell’inchiesta che è arrivata a lambire il Viminale

Caporalato

Un nome eccellente è comparso tra gli accusati di sfruttamento di numerosi braccianti extracomunitari provenienti dall’Africa, impiegati a lavorare nelle campagne della Capitanata: Rosalba Bisceglia, moglie di Michele Di Bari, prefetto e capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno

Tra le 16 persone accusate di caporalato in un’indagine della Procura di Foggia che ha portato all’arresto di cinque persone ce ne è una, Rosalba Bisceglia, il cui nome, che non dirà nulla ai più, è però capace di creare non pochi imbarazzi all’esecutivo e all’intelaiatura delle istituzioni. È infatti la moglie di Michele Di Bari, prefetto e capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno, tra . Il prefetto “ha rassegnato le proprie dimissioni” subito dopo la diffusione della notizia, fa sapere il Viminale in una nota: la ministra Luciana Lamorgese le ha accettate a stretto giro.

Di Bari, 62 anni, è originario di Mattinata, nel Gargano. Michele Di Bari è a capo del Dipartimento immigrazione dal 2019. Laureato in giurisprudenza, ha vinto il concorso per la carriera prefettizia a 31 anni, nel 1990: promosso viceprefetto nel 2001, è stato capo di gabinetto e poi viceprefetto vicario presso la prefettura di Foggia, ricoprendo vari incarichi di commissario governativo. Nel 2010 è stato nominato prefetto: prima di approdare al ministero, gli incarichi a Vibo Valentia (dal 2012 al 2013), Modena (dal 2013 al 2016) e Reggio Calabria (fino al 2019).

L’operazione è scattata nella notte tra giovedì e venerdì a Manfredonia e in altri centri della provincia. Due degli arrestati, un cittadino senegalese e un gambiano, sono stati sottoposti a misura cautelare in carcere, mentre per altri tre il gip ha disposto gli arresti domiciliari. I restanti 11 indagati – tra cui Bisceglia – dovranno osservare l’obbligo di dimora o di firma: sottoposte a controllo giudiziario anche dieci aziende agricole con un giro d’affari complessivo di cinque milioni l’anno.

L’inchiesta va avanti da tempo. I braccianti, tutti africani, venivano impiegati nelle campagne della Capitanata per i lavori nei campi ed erano tutti “residenti” nella nota baraccopoli di Borgo Mezzanone. Questo insediamento ospita circa 2000 persone, che vivono in condizioni igieniche e sanitarie disumane. I braccianti erano costretti a lavorare nei campi di pomodori dalla mattina alla sera e ricevevano 5 euro per ogni cassone riempito.

Visto il nome coinvolto, l’inchiesta ha subito acquisito rilevanza politica. In una nota della Lega si legge: “Sbarchi clandestini raddoppiati, 100.000 arrivi negli ultimi due anni, un’Europa su questo tema assente e lontana. E oggi le dimissioni del capo dipartimento dell’Immigrazione. Disastro al Viminale, il ministro riferisca immediatamente in Parlamento”.

Dall’opposizione, Francesco Lollobrigida, capogruppo di FdI, ha aggiunto: “Non basta che il capo del dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del Viminale si dimetta dal proprio incarico. Dopo anni di continue criticità, serve una vera svolta per mettere la parola fine alla scandalosa gestione dei dossier in capo al ministero dell’Interno che ha in Lamorgese la principale responsabile”.

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