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Che cosa succede al Campidoglio?

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Le troppe curiosità della partita capitolina di Di Maio, Zingaretti e Bettini

È curioso – come lo sono d’altronde un po’ tutte le cose dei grillini – che Luigi Di Maio abbia offerto a Nicola Zingaretti una trattativa sin d’ora sulle elezioni comunali dell’anno prossimo irrigidendosi sulla ricandidatura di Virginia Raggi a sindaca di Roma. Della quale invece il segretario del Pd non vuole neppure sentir parlare ritenendola improponibile dopo avere ridotto la Capitale come sa chi ci vive davvero in condizioni ordinarie: senza scorta, senza auto di servizio, prendendo l’autobus, o la metropolitana, e cercando di buttare di persona i rifiuti nei cassonetti prossimi alla propria abitazione.

Persino Goffredo Bettini, l’esponente del Pd più disponibile verso i grillini, più paziente, più comprensivo, più attrezzato, forse anche più di quel presidente del Consiglio troppo spesso amletico che è o appare Giuseppe Conte, ad aiutarli a capire che cosa vogliano “fare da grandi”, come si è lasciato scappare lo stesso Di Maio parlandone al Fatto Quotidiano; persino Bettini, dicevo, ha trovato esagerata, al limite della provocazione, la pretesa sotto le cinque stelle di aspettarsi una mano nella conferma della Raggi. E per smentire il retropensiero attribuitogli di resistere per finta alla sindaca uscente, pronto in realtà ad aiutarla per forza maggiore, in funzione anti-centrodestra salviniano, nel caso in cui fosse lei a contrastarne il candidato nel ballottaggio, ha quasi scommesso con i giornalisti de la 7 che ai tempi supplementari contro il o la candidata di Salvini e alleati andrà un uomo o una donna del Pd.

Sarebbero a quel punto i grillini a doversi turare il naso alla maniera della buonanima di Indro Montanelli per assegnare il Campidoglio al candidato o alla candidata del Pd piuttosto che alla prolunga maschile o femminile dell’odiatissimo, temutissimo, pericolosissimo Salvini. Che chissà cosa lascerebbe fare dell’aula “sorda e grigia” intestata a Giulio Cesare, come Mussolini si risparmiò una prima volta di fare e poi fece della Camera dei Deputati dopo il delitto Matteotti.

È tuttavia curiosa anche la sostanziale indifferenza mostrata da Bettini, sempre nella sua intervista a distanza con i giornalisti de la 7 che sostituiscono d’estate Lilli Gruber nello spazio successivo al telegiornale di prima serata, sulla scelta del candidato, o candidata, del Pd da contrapporre alla Raggi. Mi è sembrato non condividere che debba trattarsi di una chissà quale personalità, bastando ed avanzando evidentemente la sigla del suo partito e il declino elettorale delle 5 Stelle a garantirgli l’accesso al ballottaggio, e poi l’appoggio forzato dei grillini: forzato come fu quello di molti elettori del centrodestra quattro anni fa alla Raggi pur di non fare tornare in Campidoglio l’allora radical-piddino Roberto Giachetti, che già vi era stato come collaboratore del sindaco post-radicale Francesco Rutelli. Curiosi, a proposito, anche gli elettori romani di centrodestra, bisogna ammetterlo, che nel primo turno quella volta ne avevano un po’ combinate di tutti i colori sgambettando Giorgia Meloni e Guido Bertolaso e mandando poi allo sbaraglio Alfio Marchini, di famiglia peraltro storicamente comunista.

Cultore com’è diventato di Matteo Renzi come terza e moderata gamba dell’alleanza organica con i grillini, Bettini ha scartato come candidato della sinistra al Campidoglio l’ormai “vecchio” e “inadeguato” Massimo D’Alema rottamato proprio da Renzi. Altra cosa curiosa, anzi curiosissima, questa dell’inadeguatezza come sindaco di uno che è stato segretario di partito, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri.

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