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Chi processa Cossiga?
Il processo postumo di Caselli a Cossiga per i rapporti con gli assassini di Moro
Gian Carlo Caselli ha processato a suo modo Francesco Cossiga in prossimità del decimo anniversario della scomparsa, che ricorre oggi. L’altro ieri, 15 agosto, a pagina 19 del Corriere della Sera l’ottantunenne magistrato ormai in pensione ha commentato alcune lettere inedite dell’ex presidente della Repubblica accusandolo di avere fornito ai brigatisti rossi il riconoscimento di controparte dello Stato da essi inutilmente rivendicato durante i 55 giorni drammatici della prigionia di Aldo Moro: tanto inutilmente da avere ucciso l’ostaggio.
Le lettere inedite di Cossiga, tratte dall’archivio dell’ex capo dello Stato dimessosi nel 1978 da ministro dell’Interno per non essere riuscito né a prevenire il sequestro del suo carissimo amico e presidente della Dc, né a impedirne l’assassinio, sono quelle dirette, fra gli altri, a Renato Curcio, il primo capo storico delle brigate rosse, e a Prospero Gallinari, il carceriere e forse anche il boia dello statista democristiano. Fu probabilmente suo il primo colpo sparato al cuore dell’ostaggio nel bagagliaio della Renault rossa poi lasciata in sosta fra le sedi della Dc e del Pci. Davanti al portellone di quell’auto dopo qualche ora accorse Cossiga, col suo sottosegretario Nicola Lettieri, prima che gli artificieri lo aprissero e lasciassero vedere la salma rannicchiata di Moro.
Non è piaciuto a Caselli che proprio a Gallinari, in quel momento già liberato dal carcere per ragioni di salute, Cossiga avesse rivolto l’invito di andarlo a trovare e di non prendersela se qualcuno si ostinava ancora a scrivere e a parlare delle brigate rosse come di un’organizzazione “eterodiretta dalla Cia o P2”, anziché di una formazione autonoma di terroristi in buona fede, illusi di battersi per una causa giusta di liberazione del proletariato e simili.
Dopo avere già tentato invano da magistrato a Torino nel 1980, prima di occuparsi di Giulio Andreotti a Palermo, di mandare sotto processo l’allora presidente del Consiglio Cossiga davanti alla Corte Costituzionale, con le dovute procedure penali e parlamentari, sospettandolo di avere favorito la latitanza del terrorista Marco Donat-Cattin con notizie tempestive passate al padre Carlo, vice segretario della Dc, Caselli ora ne compromette la memoria con una lettura a dir poco distorta delle sue missive. Che Cossiga, per carità, scrisse davvero ma dopo che le brigate rosse erano state sconfitte dallo Stato, come ha appena osservato la figlia Anna Maria intervistata dal Corriere. E dopo avere inutilmente tentato alla luce del sole, scontrandosi con l’allora ministro della Giustizia Claudio Martelli, di concedere la grazia presidenziale a Curcio come atto di pacificazione e di chiusura del passaggio più tragico della storia repubblicana d’Italia. D’altronde, ad incontrare alcuni dei sequestratori e degli assassini di Moro è stata anche una delle figlie della loro vittima.
L’ostinazione accusatrice di Caselli non stupisce se ricordiamo la puntualità con la quale in ogni occasione in cui si parla e si scrive del compianto Giulio Andreotti, ricordandone l’assoluzione dai processi di mafia, egli interviene per rinfacciargli anche da morto l’accettazione della prescrizione applicata ad una parte delle imputazioni. E ciò con tanto di citazione – però parziale e perciò contestata dai difensori dell’ex presidente del Consiglio – della sentenza definitiva della Corte di Cassazione. Che nel passaggio della prescrizione assegna uguale credibilità alla lettura colpevolista e innocentista dei fatti esclusi dall’assoluzione per ragioni temporali.