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Chi rema contro Draghi?

Draghi

I Graffi di Damato. Le spiazzanti affinità elettive di Mario Draghi e Matteo Salvini

Il segretario del Pd Enrico Letta dà a Matteo Salvini dell’”inaffidabile” come a suo tempo il segretario della Dc Ciriaco De Mita a Bettino Craxi che non voleva mollare Palazzo Chigi. Egli chiede inutilmente quella che una volta si chiamava “verifica” della maggioranza e, inascoltato dal presidente del Consiglio Mario Draghi, definisce “superato ogni limite” all’ottava volta -contata e gridata sulla prima pagina del solito Fatto Quotidiano – in cui i leghisti hanno votato alla Camera gli emendamenti dei fratelli d’Italia di Giorgia Meloni per cercare inutilmente di modificare il decreto legge sul green pass.

L’ex esule parigino condivide insomma l’avviso in rosso della “maggioranza a pezzi” stampato sempre dal giornale di Marco Travaglio e viene forse persino tentato dal condividere quel “governo Draghi non è nostro” gridato alla festa del Fatto Quotidiano dal guru del Pd Goffredo Bettini. Che pur di liberarsi del presidente del Consiglio troppo paziente, diciamo così, con Salvini lo vorrebbe mandare al Quirinale alla scadenza del mandato di Sergio Mattarella, anche a costo di accorciare di un anno la fine della legislatura. In questa difficilmente, nella valutazione sempre di Bettini, il nuovo capo dello Stato riuscirebbe a fare ingoiare al Parlamento, pur affollato di deputati e senatori senza speranza di conferma, una specie di fotocopia dell’attuale governo e maggioranza con un altro o un’altra presidente del Consiglio.

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Esasperato ancor più di Enrico Letta e di Bettini, il politologo Marco Revelli dice al Fatto Quotidiano – e a chi sennò – che si deve ormai aprire la crisi perché il governo “è fuori dalla Costituzione”, pur non essendo stato battuto in alcuna delle votazioni svoltesi alla Camera sulla conversione del decreto legge sul green pass. Un altro politologo, Piero Ignazi, scrive sul Domani di Carlo De Benedetti del “pericolo di un governo che non risponde più ai partiti” della sua maggioranza.

Sul Foglio di Giuliano Ferrara e Claudio Cerasa il già “truce” Salvini è ora anche un “tarantolato” che disorienta il suo stesso partito, i cui deputati “pascolano” a “gruppetti nel cortile” di Montecitorio, dopo avere votato gli emendamenti della Meloni e fratelli, chiedendosi dove mai il loro capitano intende portarli nel tentativo di sfuggire al pericolo di scendere nelle elezioni amministrative e suppletive di ottobre sotto il 20 per cento dei voti, dal 34 e rotti delle inebrianti elezioni europee del 2019.

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A questo disastroso scenario della maggioranza emergenziale voluta da Mattarella dopo il “Conticidio” lamentato da Travaglio si oppone più realisticamente, secondo me, il racconto di Stefano Folli. Che scrive su Repubblica: “La sostanza è che Salvini resta sempre nel recinto della coalizione, sia pure tirando l’elastico finché gli è possibile. E’ un po’ un gioco delle parti, certo spregiudicato. Il presidente del Consiglio lascia fare perché questo teatro non disturba il percorso del governo. Infatti sulla doppia questione green pass e obbligo del vaccino (per ora solo di fatto e con ogni probabilità destinato a restare tale), si procede con una miscela di severità e moderazione”.

Non a caso, d’altronde, Emilio Giannelli sulla prima pagina del Corriere della Sera mette Draghi sulle spalle di Salvini perché la loro ombra sul muro si proietti nella dimensione del generale De Gaulle. Cui ieri – sempre sul Corriere – Ernesto Galli della Loggia aveva in qualche modo paragonato il presidente del Consiglio italiano.

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