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Come sta andando il congresso del Pd?
I graffi di Francesco Damato sul congresso del Partito Democratico visto da Pierluigi Castagnetti
Distratti non so se più dal Qatargate o dal campionato mondiale di calcio, che proprio in Qatar si è concluso con la vittoria dell’Argentina sulla Francia in un’avvincente finalissima, ai rigori, attori e anche osservatori del laborioso percorso congressuale del Pd hanno dato l’impressione di sottovalutare un’importante intervista della Stampa a Pierluigi Castagnetti pubblicata ieri.
Generalmente restio a parlare anche a causa dei suoi noti e stretti rapporti col presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che spesso induce a pensare, a torto o a ragione, che egli ne rifletta pensieri e umori, Castagnetti mi è parso stavolta sbottare parlando appunto del congresso del Pd. Alla cui fondazione partecipò nel 2007 con la “Margherita” di Francesco Rutelli, che comprendeva a sua volta il Partito Popolare nel quale si era trasformata, o al quale era in qualche modo tornata la Democrazia Cristiana a cavallo fra il 1993 e il 1994, nel passaggio cioè dalla prima alla seconda Repubblica fra i marosi di Tangentopoli.
Ad una domanda sul lavoro della commissione di una novantina di esponenti interni ed esterni incaricata di “scrivere la Costituzione del nuovo Pd” Castagnetti ha risposto opponendo un secco “rifiuto di definire fase costituente” quella in corso nel partito guidato da Enrico Letta dichiaratamente indisponibile a ricandidarsi alla segreteria. “Non è nelle disponibilità di 87 persone, alcune delle quali neppure elettori del Pd, cambiare la natura del partito con questa disinvoltura e senza uno specifico mandato congressuale”, ha detto l’intervistato. “Anche perché -ha aggiunto- se si cambia natura, non c’è più il Pd, c’è un’altra cosa, con tutti i rischi del caso”.
A quelli che si sono già candidati alla successione ad Enrico Letta e a quelli che potranno e vorranno farlo sino a gennaio, in vista delle primarie di febbraio, Castagnetti ha detto che “se si ha in mente di fare un partito radicale di massa, si deve sapere che la maggioranza degli elettori cattolici, ma anche della sinistra storica, faticherebbero a votare ancora Pd”. Ed ha ricordato che “Pietro Scoppola e Alfredo Reichlin, i padri fondatori del Pd, scrissero: dobbiamo intrecciare le nostre radici per dare vita ad una cultura nuova, capace di evolversi con l’evoluzione dell’antropologia del corpo elettorale, senza inseguire ma volendo capire”.
“Se un lontano elettore comunista o democristiano che aveva votato Pd ha deciso di votare per Meloni o per Salvini– ha spiegato e chiesto Castagnetti- ci interessa capire perché?”. “Ovviamente -ha avvertito o precisato il vecchio e più stretto collaboratore del compianto Mino Martinazzoli- non dobbiamo regredire a soggetti politici di 30 anni fa: era un altro mondo”.
Nonostante questa precisazione, l’intervistatore ha voluto chiedere a Castagnetti se “presto potrebbe rinascere il Ppi”, cioè il partito popolare”. “No”, ha risposto Castagnetti con tono, diciamo così, perentorio che però si attenua con questa prosecuzione della risposta: “Sono ancora formalmente il “capo” di un partito che non si presenta da quasi 20 anni alle elezioni e che non intende farlo. A meno che non ci sia una trasformazione genetica del Pd. Ma ci batteremo per evitarla”.
Qui finisce l’intervista di Castagnetti, alla quale manca, secondo me, un’altra davvero conclusiva domanda: “E se non riuscirete ad evitarla”, questa maledetta trasformazione genetica? Evidentemente “non ci sarebbe più il Pd, ma un’altra cosa, con tutti i rischi del caso”, per ripetere le parole usate dallo stesso Castagnetti in un altro passaggio dell’intervista già citato. E fra “i rischi del caso” ci sarebbero una scissione e insieme un ritorno in campo elettorale del Partito Popolare di cui c’è già “formalmente il capo”, guarda caso: sempre parole dello stesso Castagnetti nella medesima intervista.