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Conte alla prova degli Stati Generali

Questa storia degli Stati Generali dell’Economia voluti nella Villa Doria Pamphili di Roma, rischia di tradursi nel primo, vero incidente di Conte. I Graffi di Damato

Questa storia degli Stati Generali dell’Economia voluti nella Villa Doria Pamphili di Roma, già “profanata” a suo modo da Silvio Berlusconi nel 2009 con la tenda beduina dell’ospite Gheddafi sistemata nel parco, rischia di tradursi nel primo, vero incidente di Conte: tutto politico, al netto delle grane giudiziarie che stanno procurando anche a lui le zone rosse mancate in Lombardia  durante l’epidemia virale. Italo Calvino gli avrebbe forse già affibbiato l’aggettivo “dimezzato” del Visconte.

“IL PAESE DEI TAVOLI”

Nonostante “il piano” vantato dal professore, avvocato, umanista e quant’altro, e sparato generosamente dal Corriere della Sera su tutta la prima pagina inorgogliendolo, l’impietoso  professore — pure lui — Ernesto Galli della Loggia ha scritto, nell’editoriale dello stesso Corriere, a proposito del nostro “Paese dei tavoli”, che commissioni, stati generali e simili, al minuscolo o maiuscolo che siano, “sono serviti e servono in sostanza per una grande operazione di scarico di responsabilità”. Esse passano dal governo e dal Parlamento, che gli accorda o nega la fiducia, ad altri magari titolatissimi, con i loro studi, le loro cattedre, le loro esperienze imprenditoriali e internazionali, ma hanno l’inconveniente di non rispondere a nessuno.

Questo è un po’ anche il succo del ragionamento che il capogruppo del Pd al Senato Andrea Marcucci, il più alto in grado dei renziani quando il senatore di Scandicci non se n’era ancora andato via dal partito, ma rimasto al suo posto, aveva fatto al primo annuncio degli Stati Generali, in una intervista al Corriere della Sera. Egli l’ha appena ripetuto in un’intervista al Dubbio dopo l’acqua che Nicola Zingaretti ha mostrato, a torto o a ragione, di aver voluto buttare sul fuoco parlando alla direzione nazionale.

IL RIFIUTO DELLE OPPOSIZIONI DI PARTECIPARE AGLI STATI GENERALI VOLUTI DA CONTE

In particolare, pur compiaciuto del fatto che Conte di fronte alle osservazioni e proteste del Pd “ha rimodulato in modo equilibrato l’appuntamento” di Villa Pamphili, Marcucci ha tenuto a rimettere sul tavolo del confronto, definendolo “un buon punto di partenza”, esattamente quel “piano Colao” cestinato, o quasi, dai grillini perché infarcito di “lobbismo” e infine piaciuto, se non addirittura adottato dall’oppositore più duro del governo, che è il leader leghista Matteo Salvini. Al quale però è venuta chissà perché l’idea, alla fine accettata anche da Giorgia Meloni e da Silvio Berlusconi, di rifiutare l’invito a Villa Pamphili. Dove pure, proprio riconoscendosi nel piano di Vittorio Colao, avrebbe potuto mettere di più in difficoltà, dal suo punto di vista, un governo e una maggioranza di cui a parole non vede l’ora di liberarsi per correre, magari da solo e senza mascherina, alle urne.

IL COMMENTO DI MARCUCCI (PD)

Stimolato da una domanda dell’intevistatrice Giulia Merlo a commentare “l’autoritarismo di Conte” sostanzialmente lamentato nel Pd all’annuncio quasi solitario degli Stati Generali, Marcucci ha significativamente accreditato la critica prima evitando di contestarla, o solo di prenderne le distanze, e poi ricordando al presidente del Consiglio, semmai se lo fosse dimenticato, che per governare guidando una coalizione, non un monocolore, come si faceva a volte ai tempi della Dc, occorrono “il consenso della maggioranza e una voce plurale”, specie in questa difficilissima fase di “possibile rinascita” del Paese in momenti di epidemia: una rinascita, ripeto, “possibile”, per niente quindi scontata con i metodi di Conte e con quelle voci, pur appena smentite dall’interessato, di essere tentato dall’avventura di un partito personale, sulle orme di Mario Monti. Che peraltro se ne stufò rapidamente.

 

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