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Conte, Crimi e il futuro del governo

Crimi

I Graffi di Damato. In quali mani è finito l’esimio professore Giuseppe Conte a Palazzo Chigi

Come si fa, in questi tempi di pandemia virale e di confusione politica decisamente superiore alla media cui ci avevano abituato i vecchi partiti spazzati via dalla Befana giudiziaria, a non dare a ragione a Carlo Verdone? Che in una intervista ha confessato tutta la fatica che fa a ridere “in questa Italia da piangere”, dove persino al Fatto Quotidiano avvertono “aria di crisi” per il presunto benemerito governo giallorosso, o giallorosa, come preferiscono chiamarlo in quella redazione.

Pensate un po’ nelle mani di chi è finito nelle ultime ore di cronache e retroscena l’esimio professore Giuseppe Conte, con tutti i consiglieri che ha a Palazzo Chigi e persino al Quirinale, se è vero quello che abbiamo appena letto sui giornali. A prendere le redini della situazione in vista delle votazioni parlamentari sul Mes, con tanti grillini tentati dalla voglia di bocciare la riforma del meccanismo di stabilità economica concordata a Bruxelles pur avendo avuto dallo stesso Conte l’assicurazione che ciò non significherà l’uso dei crediti europei per il potenziamento del servizio sanitario nazionale, per quanto un bel po’ di amici o ex amici di Silvio Berlusconi siano pronti a dare una mano, pur considerando anche il Cavaliere una schifezza inaccettabile la riforma, è intervenuto Vito Crimi. Che finalmente, pur essendo diventato capo reggente, o facente funzione, del Movimento 5 Stelle a gennaio scorso, dopo che Luigi Di Maio si era improvvisamente liberato dell’incarico sciogliendosi la cravatta dal collo, si è ricordato del suo ruolo e si è proposto di sgomberare di tutti i pugnali possibili gli appuntamenti parlamentari del presidente del Consiglio con i grillini.

Il curriculum politico di Crimi, un palermitano con esperienze di lavoro nel tribunale di Brescia, non ricordo se come assistente o cancelliere, non è obiettivamente dei più esaltanti. Gli è capitato, oltre che addormentarsi una volta nell’aula del Senato e raccogliere l’eredità di Di Maio al vertice del movimento dopo il dimezzamento elettorale subito nel rinnovo del Parlamento europeo del 2019, di fare il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e il vice ministro dell’Interno. Il suo massimo contributo al tentativo di modernizzare il Paese e di liberarlo dalle pratiche dei regimi corrotti lo individuò e lo diede, come sottosegretario di Conte, ingaggiando una lotta senza quartiere a Radio Radicale. Della cui pericolosità non c’eravamo accorti nessuno di noi abituato ad ascoltarne le cronache, interviste, convegni, congressi e quant’altro, evidentemente tutti storditi, prima ancora che corrotti, da quel demonio ch’era Marco Pannella.

Massimo Bordin, storico direttore e impareggiabile conduttore della rassegna stampa quotidiana di Radio Radicale chiamata “Stampa e Regime”, di cui era un vanto per tutti guadagnarsi una citazione, quasi come negli anni precedenti da Fortebraccio sull’Unità, si tolse il gusto di liquidare Crimi come “gerarca minore”. Ma non ebbe il tempo di godersi del tutto, stroncato da un male sottovalutato, la sua vittoria politica, essendo Radio Radicale sopravvissuta ai tentativi di sopprimerla.

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