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I conti di Conte in Parlamento

Conte

Giuseppe Conte nei panni inediti del piromane nei boschi parlamentari

Il mese già trascorso dei due messi a disposizione delle Camere dalla Costituzione per “convertire” i decreti-legge del governo, evitandone la decadenza, poteva anche spiegare con molta buona volontà il ricorso alla fiducia ancora una volta annunciato a Montecitorio dal ministro dei rapporti col Parlamento per accorciare i tempi d’esame e approvare in tempo la proroga dello stato di emergenza virale al 15 ottobre, disposto dall’esecutivo prima delle vacanze. Ma il governo ha avuto la dabbenaggine di mettere la fiducia sul provvedimento, facendo decadere tutte le proposte di modifica, dopo un inutile pressing – rivelato dagli interessati, a cominciare da Federica Dieni – su una cinquantina di deputati grillini perché rinunciassero spontaneamente ad un emendamento soppressivo neppure di un articolo ma di un suo comma, il sesto, voluto personalmente dal presidente del Consiglio per poter prorogare di quattro anni i mandati in scadenza dei responsabili dei servizi segreti: anche quelli non prorogabili per altre disposizioni legislative.

Una volta evidente, sfacciatamente evidente, il collegamento fra l’annuncio della fiducia e l’emendamento dei grillini, presentato dai giornali come “fronda”, “agguato” e quant’altro, tutto è stato possibile scrivere e immaginare di questo passaggio politico quanto meno increscioso per il governo e la sua complessa, anomala e tormentata maggioranza: anche “i sospetti” attribuiti da Repubblica a Conte sul ministro degli Esteri e già capo del movimento 5 Stelle Luigi Di Maio, affrettatosi a smentire da Tripoli di avere ispirato, suggerito, coperto “giochini di palazzo che non mi appartengono”.

Sul merito dell’articolo, o del comma galeotto, contestato dai circa 50 grillini, ma prima di loro dal Pd quando il Corriere della Sera ne rivelò per primo l’introduzione come una supposta nel decreto-legge sul Covid, il presidente del Consiglio ben difficilmente potrà mai spiegare al cittadino comune come si possa usare una proroga di un mese e mezzo, quanto dura quella dello stato di emergenza virale decisa a fine luglio, per avere il diritto di prorogare di quattro anni mandati peraltro così delicati come quelli dei vertici dei servizi di sicurezza. E stupisce, francamente, che una cosa del genere sia stata permessa dal Quirinale con la firma di convalida e pubblicazione apposta dal presidente della Repubblica, peraltro già vice presidente del Consiglio, ministro della Difesa e giudice costituzionale.

Per quanto riguarda invece ciò che è accaduto alla Camera, compresa la bagarre in aula, prima e dopo l’annuncio del ricorso alla fiducia anche o soprattutto per decapitare una libera e legittima iniziativa parlamentare, non è certamente forzato esprimere l’opinione che si sia consumato all’interno della maggioranza giallorossa di governo un altro strappo che non giova alla sua salute politica e alla sua credibilità.

È curioso che un presidente del Consiglio con ormai più di due anni di esperienza sulle spalle, in un contesto per lui già così rischioso come la campagna elettorale in corso per il rinnovo di sette Consigli regionali e di circa mille Consigli comunali, e per il referendum sul taglio di 345 dei 945 seggi elettivi fra Camera e Senato, si sia avventurato in una prova di forza su un terreno così impervio. Egli ha finito per moltiplicare, anziché diradare, critiche, riserve e sospetti sulla gestione, addirittura, dei servizi segreti del cui controllo ha voluto mantenere la cosiddetta delega. Più che un tessitore di accordi, compromessi e rinvii, egli è apparso un piromane, anche di fine stagione, visto che l’estate sta passando.

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