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Convulsioni post Fedez

Fedez

I Graffi di Damato. Il torto che Grillo, più ancora della Lega, non si meritava dal giovane Fedez

Non lo scrivo per scherzo, e persino scimmiottando, più che ispirandomi al commento di Antonio Polito sul Corriere della Sera. Che ha visto un filo conduttore fra Silvio Berlusconi, “l’impresario” sceso in politica nel 1994, come scrisse Eugenio Scalfari, il comico Beppe Grillo, passato dal palcoscenico alla politica nel 2009, e questo Fedez dei nostri giorni: il rapper che ha scosso il “Concertone” del 1° maggio col monologo contro il presidente leghista della Commissione Giustizia del Senato, Andrea Ostellari, impegnato secondo lui a osteggiare il cammino parlamentare di un disegno di legge di contrasto all’omotransfobia. È un monologo che ha fatto più notizia delle tette al vento della cantante, sempre al festino del Lavoro, come l’ho chiamato ieri, sia per il suo contenuto tutto politico sia per un preteso tentativo di censura denunciato dallo stesso Fedez. Che, seppure miseramente fallito, potrebbe costare il posto a qualcuno alla Rai e dintorni.

È molto diversa, come vedete, la sensibilità di noi giornalisti se io, da vecchio rincitrullito, mi sono fatto distrarre dalle tette liberate e liberatorie di una cantante inneggiante all’amore, diciamo così, illimitato e non dal monologo di Fedez, pseudonimo di Federico Leonardo Lucia, rivelatosi ben più capace di assaltare e conquistare le prime pagine dei giornali e di “spaccare”, come si è scritto, il mondo politico. Il che è avvenuto fra il nuovo segretario del Pd Enrico Letta – esultante per le parole “forti” del rapper più ancora di Giuseppe Conte, forse pentito delle nomine effettuate nella Rai nei suoi anni di governo e smanioso di riscattarsene, ora che ha scoperto, o solo sospettato di che pasta censoria fossero certi dirigenti – e una Lega e, più in generale, un centrodestra diviso a sua volta fra l’imbarazzo e la voglia di ribadire quanto meno le sue riserve sull’urgenza della legge all’esame del Senato in questi tempi di emergenza sanitaria, sociale ed economica da cui è nato il governo di Mario Draghi.

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Non lo scrivo per scherzo, dicevo, ma Beppe Grillo non si meritava questo torto fattogli, deliberatamente o a sua insaputa, dal giovane Fedez strappandogli il palcoscenico di denuncia e irrisione in un momento così critico per il comico genovese, mentre la sua famiglia anagrafica è alle prese con una scomodissima vicenda giudiziaria, stando per una volta dall’altra parte del banco solitamente preferito dell’accusa, e la sua famiglia politica – quella del MoVimento 5 Stelle – che non se la passa neppure lei molto bene. Essa infatti vive tra liti condominiali e ristrutturazioni, o addirittura, rifondazioni affidate a Conte, o contese – come preferite – da Davide Casaleggio e amici. Fra i quali si distingue, per il suo solito andare su e giù, uscire e rientrare, dire e non dire, arrabbiarsi e consolarsi, sognare e scrivere, l’ex deputato Alessandro Di Battista. Il quale chissà perché si è guadagnato nella sua eterna giovinezza sulle moto, beato lui, il soprannome di “Che Guevara di Trastevere” e non di Vigna Clara, il quartiere più borghese e snob di Roma dove in realtà egli è davvero cresciuto prima di allontanarsene.

Questo torto, o scippo politico, a Grillo se lo poteva risparmiare il rapper milanese. E questo aiutino – in concorrenza, ripeto, col nuovo segretario del Pd – se lo poteva risparmiare di darglielo l’ex presidente del Consiglio e capo designato di non so bene quale e quanta parte di quello che fu – visti i numeri elettorali e parlamentari cambiati dopo il 2018, pur senza nuove elezioni politiche – il MoVimento 5 Stelle. A occhio e croce non attribuirei la sesta a Fedez, scommettendo su una sua modesta ambizione.

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