“L’App non testata a sufficienza”, i magistrati di nuovo all’attacco sull’applicazione digitale introdotta dal Ministero per il processo penale
L’introduzione dell’applicativo digitale per il processo penale telematico, reso obbligatorio a partire dal 2 gennaio 2025, sta continuando a scatenare un’ondata di polemiche e disagi in tutta Italia. L’obiettivo dell’App è semplificare e digitalizzare le procedure giudiziarie, ma i numerosi malfunzionamenti hanno costretto molti tribunali a sospenderne l’utilizzo e a tornare temporaneamente al deposito cartaceo.
COSA LAMENTA L’ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI
Secondo l’Associazione nazionale magistrati, l’App non è stata testata a sufficienza prima di essere implementata. Il presidente Giuseppe Santalucia, durante un convegno dedicato alle problematiche introdotte dalle nuove norme, ha sottolineato come il sistema rallenti il lavoro giudiziario, invece di semplificarlo. “Non possiamo tollerare ulteriori rallentamenti” ha dichiarato. L’Anm punta il dito contro l’improvvisazione con cui l’applicazione è stata lanciata, senza un adeguato supporto tecnico e senza considerare le reali esigenze operative degli uffici giudiziari.
A COSA SERVE L’APP
Sviluppata dal Ministero della Giustizia, è uno strumento volto a digitalizzare il processo penale telematico (Ppt). Consente il deposito online di atti, documenti e richieste, permettendo a magistrati, avvocati e personale giudiziario di operare in modo più rapido e centralizzato. La sua introduzione ha evidenziato diverse lacune strutturali, dalla carenza di computer nelle aule giudiziarie alla scarsa formazione degli operatori.
Tribunali come quelli di Milano, Roma, Bari e Torino hanno sospeso l’utilizzo dell’applicativo, citando difficoltà tecniche e organizzative. Il ritorno al cartaceo è stato definito una misura temporanea per evitare ulteriori disagi.
IL CAOS NEI TRIBUNALI ITALIANI
Le difficoltà tecniche dell’App hanno paralizzato molti uffici giudiziari. A Milano, il presidente del Tribunale Fabio Roia ha deciso di sospendere l’utilizzo dell’applicativo fino al 31 marzo 2025. A Roma, il procuratore capo Francesco Lo Voi ha invitato i magistrati a utilizzare modalità analogiche per garantire la continuità del lavoro. Anche a Torino, Genova e Reggio Calabria si sono adottate soluzioni provvisorie, alternando digitale e cartaceo.
L’introduzione ha messo in luce problemi infrastrutturali e organizzativi. La mancanza di competenze informatiche, unita a un software descritto come inadeguato, ha aggravato la situazione. Gli sviluppatori dell’applicativo – sono le considerazioni e le constatazioni dei critici – non avrebbero considerato a fondo le peculiarità del sistema giudiziario italiano.
L’Anm e molti penalisti hanno espresso preoccupazione per i ritardi e le difficoltà operative. Anche perché – è il ragionamento, come aggravante – le inefficienze del sistema stanno compromettendo il raggiungimento degli obiettivi del Pnrr legati alla giustizia.
LA DIFESA DEL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
Nonostante le critiche, il Ministero della Giustizia ha minimizzato i problemi, affermando che l’App funziona regolarmente nella maggior parte dei casi. Secondo un report ufficiale, le difficoltà tecniche riscontrate sarebbero limitate e in fase di risoluzione. Il ministro Carlo Nordio ha difeso il progetto, definendo le criticità parte di una normale fase di transizione.
Senza dubbio l’introduzione dell’App sta mettendo in luce quanto sia delicato il passaggio alla digitalizzazione nel sistema giudiziario italiano. Sebbene l’innovazione tecnologica sia, ormai da anni e a vuoto, considerata imprescindibile per migliorare l’efficienza della giustizia, la mancanza di pianificazione e preparazione rischia di trasformarla in un ulteriore ostacolo.