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Perché mi sorprende l’addio di Cottarelli al Pd

Cottarelli Pd Animosità Parlamento

Al mancato presidente del Consiglio sono bastati i quasi otto mesi trascorsi a Palazzo Madama e dintorni per rendersi conto, sempre nell’ordine dei disagi da lui stesso elencati, che almeno “in questo momento” nella vita parlamentare c’è “molta, troppa animosità”

Ricordate il trolley col quale l’economista Carlo Cottarelli salì al Quirinale cinque anni fa per ricevere da Sergio Mattarella l’incarico di presidente del Consiglio dopo la rinuncia di Giuseppe Conte, e prima del suo ripensamento? Il professore lo ha metaforicamente ripreso, sempre col sorriso dell’eterno disincantato, per lasciare, nell’ordine, il Senato e il Pd nelle cui liste era stato eletto il 25 settembre scorso come indipendente su invito dell’allora segretario del partito Enrico Letta. Egli non ha retto, sempre nell’ordine indicato in una lettera a Repubblica, a due “disagi” che gli hanno fatto preferire un insegnamento, a titolo peraltro gratuito, agli studenti delle scuole superiori in un piano predisposto dall’Università Cattolica. Di continuare a insegnare invece ai senatori, e a pagamento, con i suoi interventi non ha voluto saperne. E probabilmente non ne vorrà neppure se il Senato, con apprezzabile umiltà, glielo dovesse chiedere respingendo le dimissioni.

Al mancato presidente del Consiglio sono bastati i quasi otto mesi trascorsi a Palazzo Madama e dintorni per rendersi conto, sempre nell’ordine dei disagi da lui stesso elencati, che almeno “in questo momento” nella vita parlamentare c’è “molta, troppa animosità”. “Spesso -ha spiegato, forse pensando, e non a torto,  anche alle premesse del confronto che si avvierà domani fra il governo e le opposizioni sulle riforme istituzionali- le posizioni sono espresse per partito preso e i dibattiti sono solo un’occasione per attaccare l’avversario”, dicendogliene di tutti i colori, e qualche volta cercando anche di dargliene travolgendo le barriere dei commessi d’aula.

UN PD E UN PARLAMENTO CON TROPPA ANIMOSITA’

“I dibattiti estremizzati non sono nelle mie corde”, ha scritto il troppo mite Cottarelli, capace di sorridere sia allo sgarbo fattogli cinque anni fa da Conte riprendendo a tessere una tela di governo che il capo dello Stato gli aveva tolto, sia all’ironia eccessiva di chi ancora parla di lui come del “Draghi dei poveri”.

Chissà se avrà sorriso della rinuncia di Cottarelli anche all’ospitalità nel Pd la nuova segretaria Elly Schlein, coi suoi dentoni e nell’abito indossato con la solita consulente di cromatomia, o come diavolo si chiama, leggendo della convinzione fattagli maturare che il suo arrivo al Nazareno – stima personale a parte- abbia “spostato il partito più lontano delle idee liberal-democratiche in cui credo”. Qualcuno probabilmente da quelle parti avrà già tirato più o meno irresponsabilmente lo stesso sospiro di sollievo opposto ad altri, recentissimi abbandoni scommettendo su chissà quanti e quali nuovi arrivi potranno compensarli, fra sondaggi, urne e seggi parlamentari. “A quelli che vuole rovinare, Giove toglie prima la ragione”, dicevano i latini e ripetiamo noi, loro successori, sostituendo Giove con Dio.

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