skip to Main Content

Dal Pnrr alla flat tax, tutti i moniti dei giovani di Confindustria al governo

Adolfo Urso A Rapallo, Discorso Di Riccardo Di Stefano Confindustria Giovani

Prima giornata di convegno a Rapallo, ecco cosa ha detto Riccardo Di Stefano, Presidente dei Giovani Imprenditori

Ogni stagione della vita è segnata da frontiere da superare. Vale per le donne e per gli uomini che affrontano il cammino dell’esistenza, e vale per le comunità a cui essi appartengono

C’è una stagione, però, che più di tutte segna i passi avanti verso il compimento del proprio destino. Ed è la giovinezza

L’Italia che ereditiamo come giovani, oggi, non è certamente quella del boom economico. Eppure, questo stato di cose non ci ferma. Non ci ferma nella nostra attività di imprenditori che, fra mille difficoltà, portiamo avanti proprio qui, nel nostro Paese. E non ci ferma come comunità, perché il tetto di cristallo che abbiamo sulla testa non è infrangibile. Ma anche se non ci ferma, ci rallenta. E noi, invece, abbiamo fretta.

L’incertezza è molto alta e all’orizzonte vediamo dei rischi. La congiuntura economica è complessa: l’inflazione scende molto lentamente mentre i tassi continuano a salire. La Germania è in recessione tecnica e la produzione industriale si sta fermando. Le nostre imprese sono forti, ma potrebbe non bastare

Per questo sentiamo forte l’esigenza di un momento di confronto: in questi due giorni avremo sul palco 5 ministri, 5 vertici di partito e 20 imprenditori. 

Tra questi vogliamo ricordare, per i tanti momenti di confronto avuti dal nostro palco sul futuro dei giovani e del Paese, Silvio Berlusconi

Ai nostri ospiti non faremo liste della spesa e non chiederemo mancette

Chiederemo conto, invece, da imprenditori, da giovani e da cittadini, di come vengono utilizzate le risorse dello Stato, e delle loro ricadute. Dei risultati che l’Italia sta ottenendo in Europa

Sono tre le domande che ci assillano. Non ci interessano gli slogan, vogliamo invece andare a fondo del come” si fanno le cose. Perché il successo o l’insuccesso di questa stagione, economica e sociale, si gioca tutto sulla frontiera del come

E dunque eccolo il primo grande interrogativo: qual è, davvero, il sogno italiano

Per noi i sogni hanno un’importanza drasticamente fattuale

Un Paese che conosce a fondo i propri valori e interessi, e che riesce a dotarsi dei mezzi per raggiungerli, costruisce la sua Storia da protagonista. Mentre un Paese che non li conosce, subisce le scelte degli altri

Abbiamo chiaro il sogno americano e quello cinese. Su cosa si fondano e con quali mezzi vengono perseguiti. Sappiamo, ancora, che Stati Uniti e Cina basano la propria competizione sullo sviluppo industriale

Ma a cosa tenda l’Italia è tutto fuorché chiaro

Ecco: siamo profondamente convinti che il “sogno italiano” sia quello impresso nella nostra Costituzione repubblicana. Uguaglianza, libertà, lavoro

Serve cambiare mentalità, passando da follower a leader, ponendosi un obiettivo fondamentale: diventare first mover nei settori cardine dell’innovazione

Finora non c’è riuscita anche per salvaguardare la concorrenza interna. Come se non bastasse, su digitale e green si è data traguardi molto ambiziosi ma non gli strumenti per attuarli. Anzi, li ha scelti male, orientandosi su tecnologie e materiali che non solo non produce, ma che consolidano l’egemonia proprio di Cina e Stati Uniti rischiando di spazzare via interi settori industriali

Ogni riferimento a pannelli solari, batterie e motori elettrici è assolutamente voluto. 

Insomma, altro che vantaggio del first mover. Un autentico harakiri

Cambiamo marcia. Rimuoviamo i freni alla nostra competitività e compiamo, finalmente, quei passi che da troppo tempo stiamo rimandando. Cominciamo dalla politica industriale, che deve diventare compiutamente una competenza europea. Al centro ci sono le KET, le Tecnologie Abilitanti Chiave

Oltre a nuove filiere, queste richiederanno ristrutturazioni e riconversioni produttive

Nuovi fornitori e nuove catene globali del valore in cui entrare

Non sarà una passeggiata. Abbiamo bisogno di sapere che l’Europa ci copre le spalle, senza strappi. 

Ne varrà la pena, perché una volta consolidato il know how, le applicazioni potranno essere infinite

Facciamo in Europa ciò che all’industria italiana riesce meglio, troviamo le nostre nicchie in un mondo di giganti. Nicchia, però, non vuol dire affatto nanismo d’impresa. Quello lasciamocelo alle spalle

Invece pensiamo in grande e guardiamo lontano

Dobbiamo, poi, tirare fuori le unghie e far passare il principio della neutralità tecnologica. 

Sappiamo che il Governo concorda su questa linea

Ora aspettiamo i risultati, perché dobbiamo investire

La battaglia del motore endotermico e dei biocarburanti sembra persa. Ma molte altre seguiranno e non possiamo più permetterci di sbagliare

Per questo occorre impostare nuovi schemi di collaborazione con i nostri alleati naturali, Francia e Germania

La competitività passa inoltre, necessariamente, dall’approvvigionamento di materie prime strategiche per cui il Global Gateway non basta. Gli inverni torneranno, mentre la guerra continua

Dobbiamo allora costruire qui, in Europa, le filiere fondamentali per la sicurezza energetica e la transizione green. Turbine eoliche, pannelli solari, idrogeno verde, superando anche le resistenze al nucleare. 

Sono tutte energie pulite che potremmo produrci in casa nostra a costi competitivi

Usiamole

Poi ci sono le materie prime critiche. La svolta arriverà quando guadagneremo leadership tecnologica dove la strada non è già battuta dalle due super potenze

L’Europa deve diventare leader nell’utilizzo di materiali non contesi e largamente diffusi in natura, sostenibili e rigenerabili. Dandogli, quindi, un nuovo utilizzo

Abbiamo, inoltre, miniere ampiamente sottoutilizzate: sono i rifiuti tecnologici che contengono 14 materie prime strategiche, fra cui le terre rare.

Gli europei ne producono più di tutti al mondo: arriveremo a 74 milioni di tonnellate entro il 2030 ma ne raccogliamo solo il 17%. La tendenza va invertita velocemente

Il salto tecnologico da fare richiede una enorme mole di investimenti, lo sappiamo. 

È impensabile che questo cambio d’epoca sia finanziato solo attraverso il canale bancario. Occorre favorire l’accesso delle imprese a fonti finanziarie alternative e a capitali pazienti

Completiamo, finalmente, la creazione del mercato unico dei capitali europeo

 

Perché, nel frattempo, gli Stati Uniti riversano sulla loro economia circa 2000 miliardi di incentivi alle imprese. Anche noi abbiamo 2000 miliardi, sì, ma di debito pubblico

E l’Europa non ci aiuta, perché sta diventando l’incubatore del mondo. Investe tanto negli stadi iniziali di innovazione e ricerca ma poi le aziende non trovano capitali nella fase più critica di scale up. E che succede? Le nostre tecnologie vengono prodotte altrove o restano vittime di killer acquisition

Per questo non possiamo fare a meno di meccanismi comuni di finanziamento alternativo orientato agli investimenti

Ciò non significa sussidiare i Paesi cicala

Significa, invece, l’opposto: una efficiente allocazione delle risorse per lo sviluppo di tutti. 

L’Europa non si faccia arbitro parziale di quali siano le idee che hanno diritto di crescere in base allo spazio fiscale del Paese in cui nascono. Lo lasci decidere al mercato, e che vinca il migliore

Perché questo meccanismo funzioni, però, deve cambiare la cinghia di trasmissione fra i soldi stanziati e i soggetti che li mettono a frutto. Infatti, un altro freno alla competitività europea sono le sue regole. Troppe e troppo complesse, vedi il Green Deal. L’allocazione dei fondi attraverso gli Stati e le pubbliche amministrazioni è lenta e inefficiente. Le valutazioni d’impatto lacunose e condizionate dal principio di coesione. I bandi complessi e spesso elitari. 

All’Europa servono risorse ad accesso diretto delle aziende e tecnologicamente neutre. Altre ne serviranno per le tecnologie emergenti. Semplicità delle regole, adeguata entità delle risorse, strumenti semplici e diretti, organicità e coerenza delle misure sono la strada da seguire. E non solo ora, ma da oggi in poi. 

È in capo a tutti i candidati al Parlamento europeo la responsabilità di cambiare le cose. E ancora di più al Governo, che ci rappresenta nei tavoli dove vengono prese le decisioni più importanti

Chiediamo quindi a tutti loro, a tutti voi, di non perdere mai di vista gli interessi delle generazioni che verranno. E di essere statisti all’altezza delle sfide del presente. Altrimenti cosa ci resta da sognare“, insieme?

Ora, però, giriamo i riflettori dentro i confini nazionali con la terza grande domanda alla Politica e alle Istituzioni

Cosa farete, signori, per realizzare al sogno italiano” e a quello europeo

Ciò che vale per l’Europa vale anche per noi, perché Roma e Bruxelles sono la stessa cosa

E quindi lo ripetiamo: Cara Italia, l’era del si è sempre fatto cosìè finita

Stanno per tornare operative le regole del Patto di stabilità e crescita. Tradotto: nei prossimi anni avremo spazi di bilancio assai ridotti per le misure di supporto all’economia. 

Le principali risorse su cui l’Italia potrà contare, quindi, saranno quelle del PNRR

Proprio quel PNRR che ci rende un sorvegliato speciale perché banco di prova per tutta l’Unione. Infatti, il successo di Next Generation EU renderebbe il meccanismo di debito comune che lo ha finanziato replicabile

Questo incontra, però, molte resistenze. Spiace dirlo, comprensibili. 

Pensateci: come possiamo sollecitare gli altri Paesi europei verso nuovi investimenti comuni se dimostriamo di non saper spendere le risorse che già abbiamo?

L’Italia non può essere un Paese a responsabilità limitata. Mi riferisco ai 6000 soggetti attuatori del PNRR

 

Il Governo è riuscito a portare a casa una maggiore flessibilità nell’attuazione del Piano. Siamo consapevoli delle sue difficoltà, arrivato a corsa già iniziata. Ma la macchina dello Stato è in panne da anni e dobbiamo rivolgerci a voi, che oggi ne siete alla guida

Quindi, chiariamoci: non ci accontenteremo di ascoltare rimpalli di responsabilità, né sul presente né sul passato. E non ci metteremo il cuore in pace ascoltando la lista delle inefficienze della PA

Il nostro chiodo fisso è che il PNRR sia implementato, con decisione

Che la struttura di Palazzo Chigi, che ora lo governa, sappia esercitare la giusta pressione sui soggetti attuatori. Che questi, tutti, prestino massima collaborazione a chi ha il compito di coordinarne gli sforzi

Che questi sforzi assomiglino più a uno scatto di Formula 1 che a una gara fra tricicli

Riscrivere il Piano senza superare i meccanismi inceppati che lo bloccano sarebbe un esercizio inutile. Perché non discutiamo sul fatto che rimodularlo sia necessario, ma è arrivato il tempo di chiudere la diagnosi e passare alla terapia

Ci auguriamo che il Governo si stia muovendo in questa direzione

E se alcuni soggetti attuatori non ce la fanno, per motivi strutturali o congiunturali, cambiamoli. O affianchiamoli e potenziamoli, ma in fretta. Ciò non significa punire ma, al contrario, aiutare e sollevare. E soprattutto rispondere al continuo grido d’aiuto che sentiamo arrivare da chi non ha i mezzi o le competenze interne per realizzare il Piano

Non pensiamo ad un nuovo e lento turnover dei dirigenti pubblici. 

Chiediamo, invece, che in ogni parte del Piano in cui sia possibile, nel rispetto del quadro generale concordato con l’Europa, si identifichino nuovi soggetti che possano dare gambe al PNRR per correre. Trovandoli, a tutti i livelli, in una leale collaborazione pubblico-privato. 

Le imprese, ancora una volta, sono pronte a fare la propria parte. 

Se una quota dei fondi fosse destinata direttamente alle imprese per lo sviluppo e l’innovazione, con meccanismi applicativi di tipo automatico, siamo sicuri che si potrebbe velocemente superare l’impasse in cui, da soli, ci siamo bloccati. È possibile. Facciamolo. 

Ripartiamo, allora, dalle nostre responsabilità

Ripartiamo dalle fondamenta: un Governo politico che ambisce a governare cinque anni, e che ha i numeri per farlo, non può sottrarsi a questo compito

Dobbiamo cambiare. Dobbiamo aumentare produttività e competitività del Sistema Italia che non sembra in grado di dare risposte a problemi vecchi, mentre siamo sfidati su frontiere sempre nuove

“La produttività non è tutto ma, a lungo termine, è quasi tutto”, diceva l’economista premio Nobel Krugman

La nostra è bloccata perché l’Italia è un Paese a competitività limitata

La lista è davvero lunga: bassi investimenti; giustizia lenta; fisco asfissiante; sistemi formativi inadeguati e autoreferenziali; ipertrofia e incertezza normativa; paralisi amministrativa diffusa; infrastrutture carenti

Insomma, chi più ne ha più ne metta

Ma ricordiamocelo! Il Sistema Paese da cui un’azienda proviene è il primo fattore di competitività

Non c’è da scoprire l’acqua calda, né pronunciare formule magiche

Per far crescere la produttività occorrono riforme coraggiose in tempi ragionevoli

Non possono passare anni fra l’annuncio di una riforma e la sua attuazione, mentre questa ristagna nella trincea dei veti incrociati e dei decreti attuativi

Il tempo è denaro. Il tempo è la differenza fra andare avanti o restare indietro

Occorre, poi, un piano almeno quinquennale per l’Industria 5.0 per consentire una pianificazione degli investimenti. Con meccanismi applicativi chiari, semplici e stabili nel tempo. E con risorse congrue

 

Farà bene al Paese, non solo alle imprese, perché al centro di Industria 5.0 ci sono le persone e le conoscenze. Ed è semplicemente impossibile realizzarla senza una rete solida di competenze scientifiche di base e diversificate. Solo queste possono far nascere nuove frontiere industriali d’avanguardia

Certo, il ruolo delle imprese resta cruciale, tanto che oggi le academy aziendali sono oltre 150mila in tutti i settori produttivi: dall’Ict alla meccanica, all’alimentare. Per non parlare del lavoro fatto per promuovere i dottorati innovativi. Ma non possiamo sostituirci alla formazione pubblica. La Scuola e l’Università devono fare molto di più in direzione 5.0. Perché ogni macchina, ogni intelligenza artificiale ha bisogno di una intelligenza umana che la guidi

Sono sempre le competenze a generare posti di lavoro di qualità

Perché i green jobs non nasceranno all’improvviso come margherite a primavera, in un contesto dove le aziende si danno letteralmente battaglia per assicurarsi i pochi lavoratori con qualifiche alte e altissime

A questo si lega un tema caro a maggioranza e opposizione, quello dei salari

Una bassa preparazione del capitale umano, unita a un contesto inefficiente, non può che generare bassi salari, come riflesso della bassa produttività. È questo il circolo vizioso da spezzare

Che la settimana lavorativa sia lunga o corta, il nodo resta sempre la produttività. 

Se questa non cresce, non ci sarà salario minimo che tenga, per quanto giusto

Legata a doppio filo alla produttività e alla competitività c’è poi la concorrenza. Aver scritto tre leggi annuali in quattordici anni non basta

Perché in Italia un soggetto economico può ritrovarsi in un mercato competitivo, o in uno protetto, in base al settore in cui opera e alla forza di pressione che ha sul decisore pubblico. E questo, non va bene

Le barriere alla concorrenza sono, di fatto, una barriera ai giovani e donne, sia nel lavoro dipendente che nella creazione di impresa o lavoro autonomo, perché bloccano interi mercati

La frontiera per diventare un Paese fortemente competitivo può essere superata. Se non accade è perché vengono sprecate risorse e opportunità. E mentre i forti sopravvivono, i deboli perdono ogni speranza

Lo Stato non è un limone da spremere

Ci rivolgiamo a tutte le forze economiche e sociali, e quindi anche a noi stessi, nel ribadire che deve essere un impegno di tutti non soffocare le potenzialità dell’Italia con interessi corporativi

Perché l’interesse generale non è la somma aritmetica degli interessi particolari

Non capirlo è un atteggiamento miope nel presente e autolesionistico nel futuro

Andiamo al punto: la scarsità di risorse pubbliche ha tre cause fondamentali, una cattiva gestione, una continua erosione della base imponibile, una imponente evasione fiscale

Ecco, per prima cosa, bisogna sfrondare la fitta foresta dei bonus. Saranno popolari ma, così come sono, anche iniqui. Le risorse sono scarse, valutiamo le scelte fatte

Secondo, freniamo l’erosione della base imponibile. Un sistema ad aliquota unica insieme a una riduzione del carico fiscale, sembrano poco realistici. Lo dice Bankitalia e noi concordiamo, in un Paese con un ampio welfare e con vincoli di finanza pubblica come l’Italia

Terzo, parliamoci chiaro: tempi, modi e luoghi dell’evasione fiscale sono noti. I mezzi per combatterla, anche. Cosa è mancato, allora? Solo la determinazione politica e amministrativa di aggredirla. 

E su questo invitiamo con forza il Governo ad alzare l’asticella. Rafforzando, ad esempio, l’obbligo di trasmissione telematica dei dati per tutti i soggetti economici

Con un sistema strutturato nazionale che li incroci, restituirà una fotografia completa della posizione del contribuente. Perché l’ingiustizia e l’ammanco di risorse che l’evasione determina sono indegne di un Paese civile. Non c’è altro modo per dirlo. Che sia grande o piccola, la sua gravità non cambia. Perché entrambe ci parlano di un rapporto distorto con la cosa pubblica. Quel prendi e scappache è un problema prima di tutto culturale e poi materiale

È alle porte un ampio intervento di revisione con la delega fiscale. Ha obiettivi ambiziosi e una tabella di marcia lunga e serrata. Bene. L’opportunità di disegnare un nuovo fisco semplice negli adempimenti, rigoroso nei controlli e basato su un principio di leale collaborazione fra Stato e contribuente è sul tavolo. La certezza delle regole renderà l’Italia più competitiva e attrattiva

Ma ogni lunga corsa ha delle tappe intermedie. 

Non dimentichiamoci, allora, degli interventi urgenti: un taglio al cuneo contributivo che sia strutturale e un sostegno agli investimenti innovativi più incisivo

Possono e devono essere realizzati già con i provvedimenti di questi mesi o al più tardi con la prossima legge di bilancio. 

Lo confesso, siamo preoccupati. In questa Italia insieme forte e fragile, non decolla una delle più importanti frontiere del presente, che è la collaborazione

Il nostro Paese la sa dimostrare, sempre, nell’emergenza. Un pensiero va alle imprese e alla popolazione dell’EmiliaRomagna e delle zone alluvionate, esempi di forza e capacità di reagire. La stessa determinazione del Governo nell’affrontare l’emergenza prosegua, ora, anche per la ricostruzione. Ma non aspettiamo le emergenze, per collaborare. Ci appelliamo con decisione a tutti i rappresentanti dell’arco parlamentare: le riforme e le misure che fanno bene all’Italia escano dal novero delle battaglie identitarie, perché è in gioco il bene comune e il futuro degli italiani di domani. Ancora di più quando si ragiona di riforme istituzionali: che si tratti di premierato o autonomia differenziata, le regole di funzionamento dello Stato si decidono insieme

Ho iniziato il mio discorso chiedendo quale fosse il “sogno italiano. Ecco, di una cosa siamo sicuri. Qualunque esso sia non potrà realizzarsi che attraverso i giovani

Vale anche per le aziende, eccome. Noi siamo qui, a disposizione del nostro Paese. Per questo mondo che corre servono occhi nuovi. Non possiamo replicare dentro le nostre imprese i difetti che imputiamo alla società. 

E per i giovani che tirano su un’azienda da zero, o che hanno già iniziato e vogliono farla crescere, chiediamo al Governo di agire per promuovere l’accesso degli imprenditori under40 a strumenti di finanza alternativa. In particolare, sostenendo lo sviluppo di operazioni di basket bond

Lo strumento va disegnato a misura di imprenditori giovani. Per farlo occorre rafforzare la garanzia di prima perdita prestata dal Fondo di Garanzia per le PMI, abbassando la soglia minima delle emissioni garantibili ad almeno 500mila euro dagli attuali 2 milioni. Si dovrebbe, poi, introdurre un incentivo a copertura dei costi legati all’emissione, quali le fee dell’arranger, le spese per la prima revisione del bilancio e il costo per l’ottenimento del rating. Ciò consentirebbe di rendere l’emissione davvero accessibile anche a imprese giovani di piccole dimensioni

Facciamolo, il prima possibile

A più di 10 anni dall’ultimo intervento organico, poi, è una buona notizia la Proposta di Legge 107 per startup e PMI innovative. Possiamo rafforzarla anche potenziando gli incentivi già in essere e prevedendo premialità aggiuntive per chi opera o investe in ambiti come innovazione o green. Facilitando, poi, l’istituzione di fondi di corporate venture capital affinché questo strumento si allarghi al settore privato. Così anche alle PMI, aggregandosi, potranno fruire delle migliori tecnologie presenti sul mercato, in un’ottica di open innovation

Vedete, credere nei giovani significa investire sui giovani. Concretamente, non a parole

Perché un Paese che non lo fa non crede in se stesso e non crede nel progresso

Non ci sono più i giovani di una volta” è il ritornello

Non sappiamo se sia vero, ma forse non ci sono più i padri, di una volta

Sostituiti da una generazione che ha avuto molto, ma che non intende dare indietro qualcosa. Se non il paternalismo. Per fortuna, in questa nostra Italia, fioriscono comunque, ostinate, tante eccellenze

Giovani che non si arrendono, che hanno fame di futuro e lottano per costruirlo nella terra dove sono nati. E che continueranno a farlo, perché riempiono il presente di impegno e serietà e il futuro di sogni e speranze

Ogni frontiera può essere superata quando i giovani, insieme, costruiscono la strada per arrivarci.

Riccardo di Stefano giovani industriali confindustria

– Leggi anche: Governo tra mari e Monti sul Mes




 

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Back To Top