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“Nessun trionfalismo: la crescita dell’Italia dipende dal tonfo del 2020. Puntiamo sul Pnrr”. Parla il prof. Rossi

Nicola Rossi Pnrr Italia Economia

Dai risultati del PNRR dipende il futuro della crescita del nostro paese. Intervista al prof. Nicola Rossi, economista ed ex presidente dell’Istituto Bruno Leoni 

Nel 2023 in Italia ci sarà “la crescita più alta tra le maggiori economie europee, credo che non avvenisse da molto tempo”. A dirlo è il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni illustrando le previsioni economiche della Commissione Europea. Negli ultimi tre anni l’Italia ha avuto una crescita pari al 12%, segno di una certa vivacità del tessuto economico, ma soprattutto della “crisi del -9% durante la pandemia”. In ogni caso la Commissione europea ha rivisto al rialzo la crescita attesa nel nostro paese: dallo 0,8% indicato nelle previsioni di febbraio è passata all’1,2% nel 2023 e 1,1% nel 2024.

Delle prospettive di crescita della nostra economia ne abbiamo parlato con il prof. Nicola Rossi, economista ed ex presidente dell’Istituto Bruno Leoni.

Secondo le previsioni della Commissione Europea in Italia si registrerà una crescita del Pil per l’anno 2023 del +1,2% e per il 2024 del +1,1%. La disoccupazione in calo al 7,8% nel 2023, e al 7,7% nel 2024. Sono numeri positivi?

Innanzitutto, bisogna ricordare che le stesse previsioni della Commissione per l’anno successivo segnalano che l’Italia crescerebbe leggermente meno della media e degli altri paesi europei. Quindi non credo che ci sia da fare nessun particolare annuncio trionfale. Sono numeri soddisfacenti, certamente, ma non segnalano il superamento, da parte dell’Italia, di quello che è il problema degli ultimi 25 anni e cioè una crescita potenziale significativamente inferiore a quella degli altri partner europei. Per vedere questo risultato credo che dovremmo avere ancora un po’ di pazienza e aspettare.

Quali sono i fattori che hanno determinato questi risultati?

In buona misura la performance positiva dell’Italia negli ultimi 2-3 anni è la conseguenza del fatto che il tonfo dell’economia italiana nel 2020 è stato molto più pronunciato in quello osservato altrove. Quindi essendo caduti molto in più degli altri noi oggi rimbalziamo, per così dire, più degli altri.

È quello che succede con le economie che sono un po’ più indietro e che hanno quindi tassi di crescita maggiori rispetto all’economia industrializzate?

È diverso, perché le economie che sono un po’ indietro hanno la possibilità di imparare da quelli che sono più avanti. Quello che ha vissuto l’Italia è proprio una caduta particolarmente significativa nel 2020 e nel 2021 e di conseguenza un rimbalzo particolarmente significativo negli anni immediatamente successivi. Ripeto, è ancora presto per dedurre che, per un qualche motivo, l’Italia ha superato il suo problema storico di crescita, perché è lì da trent’anni.

Tra gli altri dati comunicati dalla Commissione c’è quello sul deficit pubblico. La Commissione europea si attende che in Italia il deficit pubblico scenda al 4,5% nel 2023 e al 3,7% nel 2024. Sono stime plausibili, in linea con le politiche economiche dell’Esecutivo?

Sono stime elaborate sulla base di tutte le informazioni di cui la Commissione dispone e, con ogni probabilità, sono condivise dallo stesso governo diciamo. Quindi, da questo punto di vista, certamente sono plausibili. Io credo che molto dipenderà da un elemento e cioè dalla capacità che l’Italia avrà, nel corso del 2023 e fino al 2026, di tradurre in pratica l’elenco di progetti che sono contenuti nel PNRR.

Perché è chiaro che una spesa rapida, efficacia ed efficiente di quei fondi può mutare le prospettive di crescita del paese e, di conseguenza, avere degli impatti per quanto riguarda la finanza pubblica.

Qual è il peso del successo dei progetti del PNRR sulle stime di crescita del nostro paese? Quanto la crescita del nostro paese dipende dal successo dei progetti del PNRR?

Nei primi anni l’impatto del PNRR è, in grandissima misura, un impatto keynesiano. La spesa in investimenti pubblici ma anche in investimenti privati connessi al PNRR si traduce in un maggior tasso di crescita. Il punto è capire fino a che punto e in che misura la realizzazione del PNRR cambierà il tasso di crescita di lungo periodo del nostro paese.

Questo è il nostro vero e grande problema. Risponde a questa domanda è molto difficile perché dipende dalla qualità dei progetti che introduciamo, non dal fatto che li mettiamo in campo. L’esperienza del Mezzogiorno degli ultimi trent’anni ci dice che si può anche spendere ma si può spendere in maniera tale che poi non rimanga nulla di ciò che si spende.

Naturalmente credo che la preoccupazione di tutti, a partire dal governo, sia esattamente questa. L’opera di revisione delle dei progetti del PNRR che è in corso da parte del governo credo sia mirata a garantire che i progetti PNRR abbiano una ricaduta effettiva e non si tramutino, semplicemente, nella spesa di alcune risorse.

Guardando esclusivamente alle politiche economiche che valutazione dà di questi primi sette mesi di governo? Si stanno creando le basi per costruire una crescita che sia poi duratura nel futuro?

Io penso che questi primi sette mesi siano stati condotti all’insegna due grandi obiettivi. Il primo è una gestione misurata e prudente della finanza pubblica. Il secondo è la creazione di maggiori spazi di manovra per l’iniziativa privata. Solitamente quando l’Italia ha preso, con decisione, questa strada na ha tratto vantaggi molto significativi.

Naturalmente perché questo accada bisogna che questa linea avviata venga mantenuta sia per quanto riguarda la finanza pubblica, che deve rimanere prudente e misurata com’è stata in questi mesi, sia per quanto riguarda gli spazi di iniziativa privata che invece possono essere ampliati ancor più di quanto, in parte, non si è cercato di fare in questi sette mesi.

Tra le stime della Commissione c’è anche quella sull’inflazione. Inizialmente si pensava che sarebbe calata al 5,6%, invece pare dovrebbe attestarsi al 5,8%. In che modo impatterà sulle dinamiche di finanza pubblica?

Allora sulla finanza pubblica l’inflazione inizialmente ha un effetto positivo, perché l’inflazione è sostanzialmente una tassa, con la caratteristica che non è stata votata. Quindi sulla finanza pubblica inizialmente ha un effetto positivo perché spinge in alto il prodotto nominale e riduce, per esempio, il rapporto tra debito e prodotto. Però con il passare del tempo l’inflazione si traduce in maggiori interessi che sbagliamo sullo stesso debito pubblico.

Quindi quel vantaggio iniziale viene riassorbito perché in termini di finanza pubblica registriamo maggiori oneri per gli interessi. Per quanto riguarda le famiglie e le imprese vale quanto detto prima: l’inflazione è una tassa particolarmente arbitraria ed iniqua. Proprio per questo credo che bisogna comprendere e sostenere la determinazione con cui la Banca centrale europea si sta sforzando di riportare il tasso di inflazione a livelli più ragionevoli.

Vorrei segnalare che quando l’inflazione si produce poi non rientra così facilmente, pensare che rientrasse facilmente è stato un po’ un’illusione di alcuni. È una battaglia molto faticosa che va combattuta con determinazione finché non è vinta.

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