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Effetto comunali

Comunali Amministrative 2022 Sondaggi

I Graffi di Damato

Chiamati alle urne in più di dodici milioni, chissà quanti alla fine voteranno davvero in questo vasto turno elettorale in cui è in ballo un po’ di tutto: a livello comunale, regionale e persino parlamentare, pur limitatamente a due soli seggi della Camera. Che sono uno a Roma e l’altro nel Senese per sostituire, rispettivamente, una deputata del Movimento 5 Stelle e uno del Pd dimessisi per altri incarichi in questa legislatura, peraltro, contrassegnata forse dal più intenso traffico politico di tutta la storia repubblicana per il passaggio degli eletti da un gruppo all’altro, senza rinunciare al mandato per l’assenza di “vincolo” garantita chiaramente dall’articolo 67 della Costituzione. Di cui sono diventati scrupolosi praticanti persino quelli fattisi eleggere, per esempio nelle liste pentastellate, anche per modificarlo, implicitamente impegnandosi così a rinunciare al seggio una volta usciti, o cacciati, diciamo così, dalla formazione con la quale si erano o erano stati proposti agli elettori. Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, come dice un vecchio proverbio.

Evidentemente, una volta aperto il Parlamento col tagliascatole, come propostosi o minacciato prima o addirittura in funzione dell’elezione, il tonno contenutovi deve essere piaciuto a molti dei deputati e dei senatori arroccatisi quindi nelle proprie postazioni come solo le tartarughe riescono a fare nei loro gusci corazzati.

Si potrà andare alle urne sino a domani con la sola mascherina antivirale, senza green pass, a bocca chiusa, dita incrociate e fiato sospeso, almeno per chi partecipa al voto con particolare ansia. Poi vedremo quanti saranno stati i veri indifferenti, che una volta erano pochi astenendosi e sono poi andati via via crescendo, col crescere della confusione politica o, come dicono alcuni sapientoni, con la fine o la caduta delle ideologie. Ma oltre alle ideologie sono spesso cadute proprio le idee, per cui si va votare con la pancia piuttosto che con la testa, per risentimento più che per sentimento, per rabbia più che per ragione, per rifiuto più che per adesione, insomma più contro che per. E spesso combinando cronache politiche e giudiziarie.

Se ne sono visti gli effetti particolarmente in questa legislatura cominciata nel 2018, riuscita in poco più di due dei cinque anni della sua durata ordinaria a bruciare così tanto e così rapidamente le “formule politiche” più o meno tradizionali da costringere il presidente della Repubblica, nella impossibilità da pandemia di ricorrere alle elezioni anticipate, a nominare un governo anomalo come quello -a mio modestissimo avviso- fortunatamente in carica: guidato con una buona combinazione di competenza, fermezza e duttilità da uno come Mario Draghi. Che per andare a lavorare a Palazzo Chigi dopo avere guidato, fra l’altro, prima la Banca d’Italia, come il compianto Carlo Azeglio Ciampi, e poi la Banca Centrale Europea, non ha avuto bisogno di alcun premio di incoraggiamento, o riconoscimento preventivo, come fu invece il laticlavio ben retribuito per Mario Monti nel 2011, in altre eccezionali circostanze.

Ho scritto abbastanza, credo, senza rompere -almeno volontariamente- il silenzio elettorale. Se poi pensate che lo abbia rotto lo stesso, me ne scuso.

 

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