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“Un Pd formato City Life. Il consenso potrebbe non tornare”. Intervista a Lorenzo Castellani

Castellani Pd Risultati Regionali

Conversazione con il prof. Lorenzo Castellani, docente di Storia e Istituzioni Politiche all’Università Luiss, sui risultati delle elezioni regionali 

Attilio Fontana e Francesco Rocca sono i nuovi presidenti di Lombardia e Lazio. Una conferma, il governatore leghista, e una inversione di rotta, il nuovo vertice della Pisana, che ribadiscono il buon stato di forma del centro destra trainato dai risultati inediti di Fratelli d’Italia. Il partito sorto dalle ceneri di Alleanza Nazionale vive un periodo d’oro, sembra non ci sia competizione elettorale che non lo veda partire favorito. Al contrario il Partito Democratico sta vivendo un periodo complesso, impegnato da anni in una trasformazione che non l’ha visto, per il momento, trovare una strada definita. Restano a guardare anche il Terzo Polo e il M5S, entrambi hanno tentato un attacco al PD, fallendolo.

Di tutto questo, dei risultati delle elezioni regionali, ne abbiamo parlato con Lorenzo Castellani, docente di Storia e Istituzioni Politiche all’Università Luiss.

Partiamo dal dato dell’astensionismo nelle ultime elezioni regionali. Nel Lazio i votanti si sono fermati al 37% in Lombardia al 41,67%.

Io non mi preoccuperei di questi dati. Tante democrazie mature hanno tassi che si aggirano intorno al 30- 40%, penso all’Inghilterra o alcuni Stati gli Stati Uniti, quindi io non sono particolarmente allarmista se non c’è una grande mobilitazione alle urne. E poi secondo me questo va in coppia con il fatto che le Regioni hanno un potere poco percepito, e anche poco controllabile, dalla popolazione. Hanno dei compiti limitati sostanzialmente alla sanità e poco altro, noi non paghiamo alle Regioni una parte consistente di tassazione quindi appare come un’istituzione non troppo rilevante. E poi in questa specifico caso, il Lazio e Lombardia erano due elezioni già segnate: cioè tutti sapevano, più o meno, come sarebbe andata a finire. Secondo questi sono i fattori che spiegano la bassa affluenza.

Secondo lei, nel caso in cui dovesse andare in porto la riforma sull’autonomia regionale, il peso specifico delle Regioni, anche dal punto di vista dell’appeal elettorale, potrebbe aumentare?

Sì, potrebbe aumentare se ci fosse uno spostamento di numerose funzioni amministrative alle Regioni, ma non in maniera decisiva. Cioè finché gli italiani continueranno a pagare diciamo il 90% delle proprie tasse allo Stato centrale, sarà difficile che ci siano grandi mobilitazioni. Cioè finché non c’è un federalismo fiscale vero e proprio, un’autonomia impositiva più robusta nelle Regioni, fatico a immaginare numeri simili a quelle delle elezioni politiche. Magari le persone possono avere un po’ più di attenzione quindi possono aumentare i votanti ma nulla più. Poi ovviamente c’è un altro aspetto. Un conto è se le Regioni votano da sole, come in questo caso, un altro è se quelle elezioni sono accoppiate ad altre come è capitato altre volte alle regionali accoppiate alle europee o alle politiche. In quei casi, chiaramente, c’è una mobilitazione maggiore perché c’è il traino delle politiche. Però, secondo me, anche qualora ci fosse una riforma in senso autonomistico è molto difficile superare il 55-60% di affluenza per questo tipo di elezione.

Andando ai risultati dei partiti, quelli del Terzo Polo sono stati al di sotto delle aspettative. Secondo lei sono stati i candidati a non essere abbastanza convincenti oppure l’elettorato è troppo polarizzato in questo momento e quindi c’è poco spazio?

Ci sono state due scelte sbagliate. A Roma Calenda ha sbagliato ad andare con il PD, cioè con un candidato che si sapeva già che avrebbe perso. Essersi unito a lui è stato un grave errore di Calenda, soprattutto perché Calenda era andato molto bene a Roma, sia come candidato sindaco, sia alle elezioni politiche. Secondo me lì loro hanno perso l’occasione di trovare un candidato autonomo, credibile che chiaramente non avrebbe vinto. Però anche se avesse preso il 7, l’8, il 9% gli avrebbe avuto una dignità fuori al sistema del PD, considerando anche che il PD romano è proprio l’emblema di tutto ciò che non funziona nel PD. Quindi nel Lazio è stato fatto un errore.

E in Lombardia?

In Lombardia diciamo il ragionamento poteva tenere di più proprio perché si è fatta una scelta autonoma. Però anche in quella dinamica, secondo me, la scelta della Moratti, cioè di un membro della Giunta uscente che si schiera contro il centrodestra per cercare di fatto di farli perdere, è stata malvista dall’elettorato moderato di centro destra, che invece vede nella Lega e Fratelli d’Italia delle forze non estreme, ma dei buoni amministratori. Cioè si poteva andare da soli ma con un candidato “meno compromesso” politicamente, magari preso dalla società civile. Quindi ecco sono è Calenda ha commesso due errori abbastanza rilevanti.

Invece guardando al Movimento 5 Stelle, Conte sperava che il Movimento 5 Stelle superasse il PD nel Lazio. Non è successo, è stato più che doppiato.

Non è successo anche perché i cinque Stelle sono sempre andati molto male alle regionali, perché loro hanno poco voto organizzato, molto voto d’opinione.

In questa situazione secondo lei Conte può ancora ambire alla leadership del centrosinistra?

Secondo me sì, perché innanzitutto bisognerà vedere come si riveleranno i rapporti tra il nuovo segretario del Pd e la base. Essenzialmente bisognerà capire anche se il Pd recupererà qualcosa a livello di sondaggi, fino alle elezioni europee noi non capiremo come questo rapporto si snoderà. Cioè se i due partiti decideranno di parlarsi per opporsi al centrodestra in maniera unitaria, o se continueranno ad andare ognuno per conto loro. Quindi finché non ci sarà poi la prossima verifica elettorale, che sono le europee 2024, è molto difficile dire che Conte sia fuori dalla partita per la leadership del centrosinistra. Vedremo quale sarà da questo punto di vista il responso delle urne. Bisogna considerare che noi i Cinque Stelle li abbiamo dati per morti molte volte dopo l’exploit del 2013, poi dopo la crisi del Conte II e invece poi, hanno mostrato una vitalità e una capacità di intercettare alcune fasce della popolazione che altri partiti non hanno. Quindi secondo me è presto per dire che Conte è fuori dai giochi, che il nuovo segretario del Pd sarà in automatico il leader del centrosinistra. Quello è un film tutto da costruire, da verificare.

Secondo lei il Pd ha tenuto in queste elezioni regionali?

Il PD ha tenuto nel suo elettorato storico, un po’più nel Lazio mentre mi sembra che Lombardia, cioè la Regione dei produttori, quella più industrializzata abbia completamente mollato, escluso, diciamo, la sinistra City Life, come la potremmo chiamare. Cioè questa sinistra che si è vista un po’ negli ultimi giorni in televisione, o che si legge sui giornali. Diciamo se ne vediamo la mappa di Milano quando le case iniziano ad andare oltre gli 8.000€ a metro quadro la sinistra riacquisisce possibilità di vittoria. Il problema è che un po’ è un po’ poco. Quindi in Lombardia non hanno tenuto. A Roma città hanno perso e non era scontato, cioè molti pensavano che potessero arrivare davanti, poi magari perdendo le regionali comunque perché nelle Province la destra più forte. Però anche nel Lazio vediamo un elettorato che tende ad erodersi.

Anche nella ZTL a Roma.

Sì, non c’è un collasso, ma anche nei quartieri più benestanti di Roma e di Milano, tolti pochissime enclave, tutto sommato l’elettorato si è ridotto e non partecipa. Potremmo essere davanti a un momento molto complicato per il PD. Se la nuova leadership non sarà efficace i consensi persi potrebbero essere irrecuperabili.

I risultati di queste elezioni regionali che effetto possono avere sul congresso del PD e sulla selezione di una nuova leadership.

Dato che si è perso il contatto con i territori l’idea di Bonaccini è ripartire dai territori e dal dialogo con i ceti medio – bassi. Al momento è una secondo me è una sfida molto difficile per le contraddizioni interne al PD. È verosimile che una Schlein che prende il 35-40% comunque Bonaccini sia costretto a stare sulle questioni che interessano alla “sinistra City Life” e da questo punto di vista questo recupero può essere complicato. Cioè il PD deve capire cosa vuole diventare. Se vuole essere un partito liberal progressista, che può prendere il 15%, il 12%, o se vuole diventare un partito socialdemocratico che vuol parlare alle fasce più basse della popolazione, non con i sussidi ma con manovre di riduzione fiscale. E questo vuol dire assumere una posizione più critica nei confronti dell’Europa anche alla luce delle nuove politiche nazionaliste e protezioniste che vediamo in Europa. I veri temi irrisolti del PD sono due.

Quali sono?

Il primo è che non hanno capito e affrontato la crisi della manifattura e compreso l’importanza della manifattura nell’ecosistema sociale ed economico italiano. Molte industrie sono state penalizzate dai processi della globalizzazione, quindi molte famiglie sono andate in difficoltà e hanno visto ridotte le proprie prospettive.

E dall’altro lato?

Dall’altro lato c’è il rapporto con l’Europa. Il partito della Meloni e il M5S hanno sfruttato l’euroscetticismo traducendolo in maniera pragmatica quando sono andati al Governo. Il PD ha fatto sempre il portabandiera dell’Europa. Ma, come questi anni hanno dimostrato, l’Unione europea e l’europeismo non significano nulla, non esistono. Sono tavoli di contrattazione dove tutti i paesi provano a portare acqua al proprio mulino. Fino a quando il PD resta il partito del vincolo esterno europeo è difficile rialzarsi. Oltre che a parlare di temi che non siano solo quelli dei diritti civili e dell’inclusione perché quelli intessano solo una fascia benestante di popolazione. Interessano solo chi non ha urgenze di carattere economico ma anche di vita, pensiamo all’immigrazione spesso diventa una questione di ordine pubblico e sicurezza.

Le elezioni regionali hanno decretato Fratelli d’Italia primo partito sia nel Lazio che in Lombardia. Una sorpresa?

No, io l’ho detto e scritto da tempo. In questo momento è il partito che dà più garanzie a quel tipo di elettorato concreto, con interessi economici, imprenditoriali, di sicurezza. E questo significa che anche nella Regione più produttiva d’Italia c’è una sorta di procura che viene data a Meloni per amministrare e continuare l’attuazione del PNRR in maniera pragmatica, continuare a evitare derive fanatiche sull’ambientalismo, continuare a tenere l’ordine pubblico e gestire i flussi dei migranti. Per ora Meloni ha convinto un elettorato che tradizionalmente era forzista e leghista perché lei sembra la persona più forte in questo momento, a capo del partito più concreto.

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