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Feste e amnesie per il nuovo Ponte Morandi

Ponte Morandi

Una festa e un ponte che non ci meritiamo, né a destra né a sinistra

Nel giorno della festa dell’inaugurazione del Ponte San Giorgio, a Genova, mi chiedo se come collettività nazionale ci meritiamo davvero sia la festa sia la nuova opera: l’una e l’altra guastate da un contesto politico in cui francamente non fanno una bella figura entrambi gli schieramenti nei quali è attualmente divisa, oltre che confusa, l’Italia.

Il centrodestra, avendo la fortuna di gestire sia la regione sia la città che grazie a procedure eccezionali imposte dalle dimensioni della tragedia e degli effetti del crollo del ponte Morandi, si fa vanto della realizzazione del nuovo e lo indica come esempio da seguire per tutte le altre opere importanti.

Ebbene, contesto al centrodestra la faccia tosta, quanto meno, di non avere chiesto scusa per l’ignobile comportamento seguito in passato verso il progettista senza il quale il nuovo ponte non sarebbe il vanto proclamato oggi: Renzo Piano. Che dalla sua nomina a senatore a vita per strameritati meriti, decretata nell’estate del 2013 dall’allora capo dello Stato Giorgio Napolitano, è stato insolentito su quel versante politico. Gli sono state contestate la residenza a Parigi, le assenze alle sedute del Senato e, anche per questo, le indennità parlamentari. Che peraltro il senatore investe totalmente nel finanziamento di corsi di preparazione di giovani alle prese con progetti urbanistici di sistemazione delle nostre città.

Giù il cappello davanti a questo autentico patriota, che avrà casa anche a Parigi ma è un italiano che davvero onora il suo Paese, e la sua Genova, alla quale ha regalato il progetto del nuovo ponte e il controllo della sua esecuzione. Che Iddio ci conservi a lungo, visto anche il modo col quale si porta i suoi 82 anni, che diventeranno 83 il 14 settembre prossimo, questo campione cosmopolita di italianità, per la fama che lo accompagna giustamente in tutto il mondo, dove le sue opere si impongono per bellezza.

Detto tutto questo ai signori, onorevoli e non, del centrodestra di tutte le sfumature o tendenze, contesto al centrosinistra – come arbitrariamente si chiama o si sente lo schieramento opposto, dominato numericamente nel Parlamento eletto due anni fa da un movimento di rifiuto di ogni ideologia, unito solo nel dileggio degli avversari di turno e nel logoramento degli alleati, sempre di turno – le resistenze che oppone nei fatti, ma anche nelle parole con i soliti “ma” e “però”, alla liberazione dell’Italia dalla burocrazia che l’oppone e dalla magistratura che la spalleggia. Il cosiddetto modello Genova temo che rimarrà unico, pur essendo imposto anche dall’uso degli ingenti fondi europei per la ripresa.

A quanti infine lamentano che non sia stata fatta ancora giustizia per le vittime del vecchio ponte crollato due anni fa, direi di prendersela col governo per le resistenze ad una riforma del sistema giudiziario italiano che oggi consente bellamente di deridere, e non solo di tradire, l’articolo 111 della Costituzione sulla “ragionevole durata” dei processi. Che camminano invece sulle gambe, e con le teste, di uomini di cui abbiamo appena non scoperto ma avuto conferma del modo in cui fanno carriera e parlano fra di loro, quando sanno di non essere intercettati, come trattare gli imputati e le indagini di turno. Ogni allusione al caso di Luca Palamara, di cui ho perso il conto dei magistrati che stanno occupandosene, non è casuale.

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