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Frizioni Renzi-Letta

Letta Renzi

I Graffi di Damato. La fastidiosa “anticamera” imposta da Enrico Letta a Matteo Renzi

Quel “resto in Italia Viva” annunciato da Matteo Renzi in una intervista al Messaggero non va inteso solo nel senso letterale suggerito dalla formulazione della domanda sulla possibilità ch’egli, pur di continuare a guadagnare con viaggi e conferenze all’estero che gli stanno procurando polemiche, lasci il suo nuovo partito. Che improvvisò dopo la formazione del secondo governo di Giuseppe Conte, nel 2019, da lui stesso patrocinato per impedire le elezioni anticipate e la scontata vittoria del centrodestra guidato da un Matteo Salvini alla ricerca dei “pieni poteri”.

Quel “resto” va inteso anche, o soprattutto, come intenzione di non rientrare nel Pd, ora che alla guida c’è Enrico Letta, pur da lui detronizzato nel 2014 da Palazzo Chigi, e non più Nicola Zingaretti. Che Renzi riteneva ormai a rimorchio dei grillini, in una concezione “strategica”, “strutturale”, “organica” e quant’altro di un’alleanza che il senatore di Scandicci aveva concepito invece solo come momentanea: per evitare o allontanare le elezioni anticipate, non per prepararne un’edizione rafforzata dopo il rinnovo ordinario del Parlamento, nel 2023.

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Una certa impazienza o diffidenza per il modo in cui il nuovo segretario del Pd sta scegliendo gli interlocutori con i quali incontrarsi e confrontarsi, da Carlo Calenda a Giuseppe Conte, col quale ha persino prospettato, parlandone poi con i giornalisti, “un’avventura affascinante”, Renzi l’ha dimostrata con queste parole, sempre nell’intervista al Messaggero: “Al momento non è fissato alcun incontro. Non ho alcun problema personale a incontrare Letta. Ci farà sapere lui”.

Di problemi “personali”, in effetti, Renzi in questi giorni ne ha altri. Quello di scrivere un libro da presentare in Italia – ha rivelato lui stesso – “finito il lockdown” più o meno a rate o a macchie un cui stiamo trascorrendo la Quaresima e potremo trascorrere anche il dopo-Pasqua. O il problema dei controlli sanitari quotidiani che gli sono stati consigliati dai medici dopo che la sua segretaria è risultata contagiata dal Covid-19. Ma resta, eccome, anche il problema politico di un chiarimento col Pd a guida lettiana. Che Renzi ha salutato con interesse, per niente imbarazzato dalla brusca rottura con “l’amico Enrico” esortato a suo tempo a “stare sereno” pur mentre lo stesso Renzi, fresco di elezione a segretario del partito, si preparava a prendergli il posto di presidente del Consiglio non considerandolo “adatto”. E preferendo piuttosto immaginarlo, in una telefonata intercettata con un generale amico della Guardia di Finanza, al Quirinale. Dove però era stato da alcuni mesi confermato Giorgio Napolitano, non ancora stanco del secondo mandato e tentato dalla rinuncia sopraggiunta nel 2015. Intanto i rapporti con Letta si erano rotti con quel campanello del Consiglio dei Ministri scambiato con visibile fastidio e le dimissioni polemiche dell’ormai ex presidente del Consiglio anche da deputato per un esilio dorato a Parigi, insegnante di una prestigiosa scuola di politica.

C’è chi, per esempio sul Riformista, ha visto nel Pd che sta ridisegnando Enrico Letta addirittura “una pura ridotta democristiana”, ma Renzi non ne sembra convinto. E forse teme che con i grillini il nuovo segretario voglia in fondo zingarettare, diciamo così, sia pure con un altro passo, o con un altro stile del predecessore, in vista delle elezioni amministrative d’autunno per ora, ma di altro successivamente: magari alla luce dei risultati delle corse al Campidoglio e dintorni, diciamo così in senso lato.

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