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“Draghi? Rischia di cadere perché non è amico di Mosca, a differenza di altri politici…” Intervista a Giulio Terzi

Giulio Terzi

“C’è il rischio che si inseriscano in un prossimo Governo, in una prossima maggioranza, voci che cedono al ricatto della Russia e che quindi si faccia marcia indietro sul rompere le catene di schiavitù energetica dell’Europa e dell’Italia dal gas russo”. A Policy Maker l’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata

Il Premier Draghi, nel suo discorso in Senato, ha elencato i successi del suo primo anno di Governo. “Lo scorso anno l’economia è cresciuta del 6,6% e il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo è sceso di 4,5 punti percentuali”. Forse pensava che bastasse un risultato così positivo a mettere al riparo il suo governo dalle intemperanze parlamentari. Così non è stato e non sono bastati nemmeno i “45,9 miliardi di euro” già arrivati dalla “Commissione Europea, a cui si aggiungeranno nelle prossime settimane ulteriori 21 miliardi – per un totale di quasi 67 miliardi”.

Quali scenari si aprono per il nostro Paese nel caso in cui il Premier non dovesse riuscire a trovare una nuova maggioranza? Ne abbiamo parlato con l’ambasciatore Giulio Terzi di Sant’Agata, ministro degli esteri del Governo Monti.

Secondo è scontato l’esito del discorso di Draghi al Parlamento?

Io non credo che sia scontato, ci sono negoziati intensissimi e posizioni molto fluide. La pressione è molto grande perché c’è una parte considerevole del Paese e dell’opinione pubblica, del mondo imprenditoriale, che è in forte difficoltà. Difficoltà causate prima dal Covid e poi dalla guerra in Ucraina che, ricordiamolo, è una guerra contro l’Europa. La preoccupazione è molto diffusa tra le forze politiche. Certo c’è Fratelli d’Italia che con una estrema coerenza ha sempre chiesto di tornare alle urne, ma tra i partiti che hanno sostenuto il Governo Draghi c’è chi sta facendo giochi di convenienza, c’è chi pensa che le elezioni in questo momento lo possano avvantaggiare.

L’opinione pubblica sembra in buona parte dalla parte del premier Draghi.

C’è un’ondata di preoccupazione nel paese davanti agli effetti economici, di politica estera, di posizionamento del ruolo internazionale del Paese nel caso della fine del Governo. Il ruolo internazionale in Europa, Atlantico, del Presidente Draghi è senza precedenti anche durante la crisi di Crimea e l’adozione delle sanzioni contro la Russia, nel compattamento del mondo atlantico ed europeo è un ruolo unico da decenni. E c’è una grande preoccupazione che sia obbligato, per motivi di coerenza ed anche di preoccupazioni politiche, a lasciare la guida del Governo. Abbiamo una condizione di grande rischio per la sicurezza europea in generale, e per la sicurezza dell’Italia in particolare, per via della sua posizione nel Mediterraneo centrale, che la vede esposta ai conflitti nel Mediterraneo, sino a quello del Sahara occidentale. La nostra posizione è esposta ai problemi delle migrazioni e del terrorismo.

Il premier ha da poco siglato un accordo con l’Algeria che ci aiuterà a diversificare l’approvvigionamento energetico. Cosa rischia, il nostro Paese, in termini di politica energetica se dovesse cadere il Governo Draghi?

Diventerebbe più difficile consolidare, differenziare l’approvvigionamento energetico da fonti diverse da quelle del gas russo, questo è il rischio. Il rischio che si inseriscano in un prossimo Governo, in una prossima maggioranza, delle voci che cedono al ricatto della Russia e che quindi si faccia marcia indietro sul rompere le catene di schiavitù energetica dell’Europa e dell’Italia dal gas russo.

È arrivato il momento in cui l’Europa e l’Italia cambiano rotta rispetto alla dipendenza energetica da Mosca?

Noi sappiamo che dovremmo cambiare strada da almeno 15 anni, da quando è entrato il progetto South Stream al quale l’Italia aveva aderito e che poi si era fermato, ma lo sappiamo anche dal Nord Stream e Nord Stream 2, e anche dalle alternative, che c’erano già una quindicina di anni fa, di approvvigionamento dal Caucaso e dal Medio Oriente. E invece l’Europa e l’Italia, tra i protagonisti di questa corsa a dipendere dal gas russo, hanno sbagliato completamente strada. Dal 2014, anno di annessione della Crimea alla Federazione russa, l’importazione di gas da parte della Germania merkeliana, la Germania mercantilista sa di quanto è aumentata? Del 50%, anziché aprire gli occhi e capire che il ricatto del gas era proprio l’arma che consentiva a Putin di fare quel che voleva sul piano geopolitico per annettersi e suscitare conflitti, con la scusa delle minoranze russofone, in tutto lo spazio ex sovietico.

L’Ue non è stata capace di proporsi come voce unica, come unico acquirente di energia.

L’UE ha voluto, colpevolmente, proseguire sulla strada delle voci plurime, dicendo che non occorreva una politica europea unitaria, integrata del gas. L’Europa ha continuato ad avere una pluralità di acquirenti che non hanno mai voluto mettersi insieme per negoziare uniti con altrettanta forza di quel monopolista, e differenziare sugli approvvigionamenti. In questo senso un cambio alla guida del governo italiano è estremamente pericoloso.

Al Cremlino festeggiano se cade Draghi?

Draghi viene visto, indubbiamente, dal Cremlino come un leader europeo che vuole spezzare le catene della schiavitù energetica europea dalla Russia e come tale non viene certo considerato un amico. E ci sono, invece, molti altri politici e organi di informazione italiani che stanno palesemente o in modo più sottile dalla parte di Putin: o per interesse, o perché odiano gli Usa, o perché hanno disinteresse a creare delle condizioni affinché l’Ucraina si possa veramente difendere. Quindi il tema energetico è di fondamentale importanza, abbiamo visto che il Governo Draghi in pochissimi mesi è riuscito a ridurre dal 40 al 20, 22% la quota di importazione di gas dalla Russia, praticamente dimezzata. Questo è frutto di un grande sforzo e della capacità di negoziare con l’Algeria, con l’Azerbaijan, con il Qatar, con i Paesi del Golfo. Arriveranno poi fonti energetiche da altre parti del mondo con il gas liquefatto, o i giacimenti fra Israele e l’Egitto, il cosiddetto gasdotto della pace, per poi rigassificarlo con le navi gasiere esistenti. Si immagina se il presidente Conte dovesse realizzare il suo sogno di tornare alla guida di un Governo italiano?

Cosa succederebbe?

Si riprecipiterebbe a fare memorandum con la Cina in cui ci sottomettiamo a tutti i desiderata cinesi di acquisizione di proprietà intellettuale italiana, di golden share senza fare nessuna obiezione, di diffusione della propaganda cinese attraverso le agenzie e le reti pubbliche televisive italiane.

È possibile immaginare una mano, un interesse straniero nella caduta del Governo Draghi?

Ma assolutamente sì. Draghi non può essere visto come un suddito del Cremlino come altri politici italiani vengono visti, facilmente influenzabili, pronti a correre a Mosca a proporsi come intermediari per far togliere le sanzioni, influire in Europa perché continui la politica del gas. Draghi non è sulla lista degli amici di Mosca perché è un leader europeo che guarda all’interesse nazionale del proprio Paese, all’interesse europeo e all’interesse atlantico.

Per ciò che riguarda la partita del PNRR, se dovesse cadere il Governo Draghi, come si mette per il nostro Paese?

Sfumerebbero totalmente diverse decine di miliardi di finanziamenti o diventerebbero molto problematici. Mi sembra la ragione per la quale un migliaio di amministratori italiani di ogni regione d’Italia hanno scritto e si sono preoccupati di manifestare. È in corso un grande lavoro di preparazione di progetti, di adempimento di impegni che sono stati assunti con Bruxelles in tempi ristretti. Noi sappiamo quale sia la difficoltà della burocrazia italiana di presentare progetti credibili a Bruxelles, ricordiamoci che sui fondi di coesione noi abbiamo una vecchissima tradizione di perderne una gran quota perché non riusciamo a presentare progetti che rispondano ai requisiti minimi. Ogni tanto vediamo che ci sono spinte corporative in occasione della finanziaria ma quando si tratta di fondi europei, non c’è solo la verifica del Parlamento italiano che può scendere a compromessi, ma c’è l’occhio vigile degli altri Paesi europei che no hanno desiderio di impegnare i loro fondi su progetti che non siano abbastanza accountable, che non dimostrino di servire agli scopi di crescita di tutta l’Unione.

Cosa può convincere il premier Draghi a rimanere al suo posto?

Io sono lontanissimo dall’essere nella sua testa, per quanto lo conosco come figura politica mi sembra una persona di grande coerenza, non mi sembra una persona che si pieghi a degli ultimatum, tanto meno se basati su una dilatazione di spesa pubblica che si traduce in sprechi colossali. Ne basta uno, il bonus del 110%: non c’è italiano che non sia stato avvicinato da qualche architetto che gli propone di fare ristrutturazioni.  È diventato un business colossale che ha distrutto il settore dell’edilizia, che ha fatto crescere i prezzi in maniera esponenziale e che ha creato una situazione fuori controllo per quanto riguarda la validità dei progetti. È diventato subito un terreno di abuso gigantesco e fa senso che i contribuenti italiani si accollino questa enorme spesa che si traduce in un guadagno, del 10%, per chi ristruttura per motivi energetici. Cito questo perché è stato proposto, in termini ultimativi, come piattaforma per un impegno del M5S di Conte a ripartire. Ecco mi sembra improponibile e mi sembrerebbe molto strano se il premier Draghi pensasse che si potesse procedere in questa direzione.

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