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I servizi di Draghi

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I Graffi di Damato. L’incursione di Draghi nei servizi segreti della stagione di Conte

Nelle cronache dell’avvicendamento appena disposto da Mario Draghi al vertice dei servizi segreti fra il rimosso prefetto Gennaro Vecchione e l’ambasciatrice Elisabetta Belloni, già Segreteria Generale del Ministero degli Esteri, non si trova una parola – dico una – di Giuseppe Conte a giustificazione dell’“ira”, dello “schiaffo ricevuto” e altro ancora che i titoli dei giornali gli hanno attribuito. L’ex presidente del Consiglio è rimasto zitto, avvolto in tutti i problemi che ha alla fantomatica testa dell’ancor più fantomatico MoVimento 5 Stelle affidatogli da Beppe Grillo, con tutte le grane giudiziarie nel frattempo aumentate per le resistenze di Davide Casaleggio addirittura a consegnare l’eletto degli iscritti. Al suo posto, sono giunte dalle parti che pure Conte dovrebbe rappresentare gli auguri calorosi ad Elisabetta Belloni del ministro grillino degli Esteri Luigi Di Maio, fiero del prestigio riconosciuto al Corpo Diplomatico, e del pur contestato, scaduto e non so cos’altro “reggente” del movimento Vito Crimi.

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Ma l’ira – ripeto – di Conte è in qualche modo accreditata dal modo in cui un giornale come Il Fatto Quotidiano ha rappresentato in prima pagina l’operazione appena compiuta da Draghi: “Il favore ai 2 Matteo”, cioè Renzi e Salvini, entrambi in effetti entusiasti. “Ha rivinto la Lega”, ha insistito il giornale di Marco Travaglio sottolineando che al Dis – acronimo della direzione generale delle informazioni sulla sicurezza – “resta Mancini e Vecchione salta”.

Mancini è quel dirigente dei servizi – Marco – ripreso sotto Natale scorso con Renzi nel piazzale di un autogrill mentre maturava la crisi del secondo governo Conte anche per effetto delle accuse che lo stesso Renzi rivolgeva al presidente del Consiglio ancora in carica di gestire troppo a modo suo, diciamo così, i servizi segreti disponendo dell’amico prefetto Vecchione, generale della Guardia di Finanza.

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Eppure Mancini non poteva né potrebbe essere scambiato per un congiurato nei riguardi di Conte se è vero ciò che ha scritto oggi su Repubblica un esperto della materia come Carlo Bonini. Secondo il quale è finalmente arrivato il momento di “recuperare nel Mediterraneo, tornato ad essere l’epicentro di imprevedibili nuovi rapporti di forza”, il tempo perduto a Palazzo Chigi andando appresso “a Marco Mancini, a dare la caccia alle infedeltà politiche negli apparati, piuttosto che ad occuparsi di cosa diavolo avessero in mente Vladimir Putin e Recep Tayyp Erdogan sulla Libia”, così importante per gli interessi italiani.

Severo sul Corriere della Sera è stato anche Giovanni Bianconi scrivendo del rapporto di Conte con Vecchione come “diretto e costante”, aggravato dalla “mancata nomina, fino agli ultimi giorni della sua permanenza a Palazzo Chigi, dell’autorità delegata ai servizi”. Finisce così “una stagione sciagurata – per tornare a Bonini su Repubblica – di cui Conte era stato l’ostinato e goffo regista: quella che aveva confuso il governo dell’Intelligence, del suo capitale d’informazioni riservate, con un giro di nomine nelle municipalizzate, in una logica di occupazione tarata sulla fedeltà amicale al leader del governo”. Di “stagione finita dei veleni” scrive infine Il Foglio commentando l’uscita da “Piazza Dante”, la sede dei servizi segreti, di “Gennaro Vecchione amicissimo di Giuseppi”, come Donald Trump alla Casa Bianca chiamava al plurale di Brooklyn l’allora presidente del Consiglio Conte.

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