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I subbugli democrat sul referendum

Referendum

Approda, in ritardo, alla direzione del Pd il referendum sulle Camere sforbiciate

Oltre alle scuole, col fiato sospeso per i tanti problemi e i rischi che le minacciano in questi tempi ancora di pandemia, riapre oggi la direzione del Pd per motivare lo scontato nì referendario al taglio dei seggi parlamentari, su cui si voterà fra quindici giorni in tutta Italia, congiuntamente in un migliaio di Comuni per il rinnovo dei rispetti Consigli e in sette Regioni per le rispettive amministrazioni.

È un nì non previsto neppure nel dizionario ma politicamente prodotto dal sì ufficiale del segretario del partito, dalla libertà di voto riconosciuta agli elettori, che comunque se la prenderebbero da soli, e dal no annunciato e motivato da un robusto gruppo di ex presidenti del partito ed esponenti autorevoli, tutti finiti – con gli editori dei giornali critici – in foto da pregiudicati, ricercati e quant’altro nei giorni scorsi sulle prime pagine del Fatto Quotidiano.

Fra questi personaggi indicati ai lettori con stile un po’ squadristico dal giornale capofila del sì c’è l’ex presidente della Camera Luciano Violante, che conoscendo i meccanismi parlamentari più di ogni altro per ragioni di ufficio e competenza è in grado di valutare meglio gli effetti dei tagli. Che vanno giudicati a cominciare dallo  spirito col quale i grillini li hanno voluti, imponendoli agli alleati di turno, senza la contestuale riforma, pur concordata col Pd l’anno scorso, di altre parti della Costituzione, dei regolamenti parlamentari e di una nuova legge elettorale d’impronta proporzionale.

Proprio oggi, e proprio in vista della direzione del suo partito, Violante è tornato sull’argomento in un articolo su Repubblica per ribadire la convinzione e il monito che “la prevedibile vittoria del sì avrà un chiaro  significato antiparlamentare difficile da recuperare”, visto che nei progetti grillini ci sono anche il referendum propositivo, finalizzato a contrapporre nelle urne progetti di legge popolari e progetti parlamentari, e l’introduzione del vincolo di mandato, che farebbe del Parlamento, già ridotto nelle sue dimensioni numeriche con sventolamento di forbici anti-casta, anti-sprechi, anti-fannulloni e simili, una suppellettile dei partiti. E di che partiti è facile immaginare e valutare vedendo, fra l’altro, lo stato confusionale del Movimento 5 Stelle.

Nel disperato tentativo – direi, non foss’altro per i tempi, visto che alle urne ormai mancano meno di due settimane e ogni ipotesi di lavoro successivo ha l’aria più di una suggestione che di una proposta realistica – di mettere una pezza nella tela strappata dal taglio di 345 seggi parlamentari su 945 Violante ha dato a Zingaretti “un consiglio”. “Il Pd – ha scritto – potrebbe fare campagna per il Sì raccogliendo contemporaneamente”, nei meno di quattordici giorni residui di campagna referendaria, ”firme su una proposta costituzionale di iniziativa popolare per il bicameralismo differenziato”. Cioè, per assegnare competenze diverse alle due Camere e lasciare solo all’assemblea di Montecitorio la fiducia e la sfiducia al governo.

Non me ne vorrà il bon Violante, che d’altronde penso voterà comunque no al referendum, essendosene già guadagnato il demerito sul giornale di Marco Travaglio, ma la sua nobile proposta, data la prevedibilità della vittoria del sì da lui stesso messa nel conto, equivarrebbe alla costruzione di una casa cominciando dal tetto anziché dalle fondamenta. Il taglio dei parlamentari potrà essere pulito, ed accettabile, solo come ultima tappa di un processo riformatore, non come la prima e forse anche unica.

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