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I travagli di Conte

Crisi Di Governo

I Graffi di Damato. L’appuntamento col Natale inedito dell’incertezza e del brivido

Sarà dunque il Natale dell’incertezza, anzi del brivido. Tutti stanno dando il loro contributo a rendercelo così contrario alle tradizioni della quiete e della speranza, che riuscirono – pensate un po’ – a sopravvivere anche durante l’ultima guerra mondiale, pur tra i bombardamenti e i campi di concentramento.

Il governo sforna continuamente notizie, smentite, precisazioni e conferme che sembrano studiate apposta perché il cittadino non possa sapere sino all’ultimo momento dove e come potrà lecitamente trascorrere Natale e Capodanno, probabilmente senza uscire da casa. E, anche rimanendo a casa, su quali e quanti ospiti ricevere, e con quali modalità, se con o senza mascherine, e magari anche qualche camice ospedaliero. Sempre meglio comunque che ritrovarsi nelle condizioni di quegli sventurati ripresi nella foto “copertina” del giornale Domani accanto alla bara del congiunto in un locale di fortuna, rimediato chissà dove.

Pure il serafico Giuseppe Conte, sempre così calmo e sicuro di sé nelle sue conferenze stampa e altri incontri più o meno improvvisati, senza parlare delle prestazioni in Parlamento, dove da “avvocato del popolo” dell’esordio nel 2018 è diventato indifferentemente, secondo le circostanze, avvocato di se stesso, pubblico ministero e giudice, è ridotto male nella rappresentazione offertane dal vignettista Vauro Senesi, del giornale che pure lo stima di più: Il Fatto Quotidiano, naturalmente. Oggi il presidente del Consiglio compare a “chiappe chiuse” nell’imminenza dell’incontro di verifica della maggioranza con Matteo Renzi. Che pure lui le chiappe non se le può permettere tanto meno chiuse o più aperte con quel presidente grillino della Camera in campo, Roberto Fico, che un giorno sì e l’altro pure, profittando di ogni microfono a disposizione, non so con quanto riguardo verso il presidente della Repubblica e le sue esclusive competenze costituzionali, annuncia e perora in caso di crisi o incidenti le elezioni anticipate. Che sicuramente ridurrebbero forse alle dita di una mano i parlamentari del Pd che l’anno scorso seguirono Renzi nella fondazione di Italia Viva, e i cui voti sono oggi determinanti per la sopravvivenza della maggioranza giallorossa, o giallorosa, come la vedono nel giornale di Vauro.

Ma forse – va detto con onestà – Fico quando evoca, minaccia, auspica e quant’altro elezioni anticipate che non dipendono da lui pensa anche o soprattutto alle decine e decine di compagni di partito o movimento che, insofferenti pure loro, ricorrentemente tentati dal ricattare e immobilizzare Conte nel confronto con gli alleati e con i problemi tutti emergenziali del Paese, rischiano di rivedere solo in cartolina le Camere. Che sono diventate di decimazione sicura sia per i voti che i grillini perdono sistematicamente da due anni sia per il terzo dei seggi tagliato da loro stessi con le forbici prima parlamentari e poi referendari.

Le Camere sono un po’ diventate adesso delle tonnare, dove ogni cosa ribolle nella disperazione e diventa miserabile: persino una decisione umanitaria come quella appena tentata dalla presidente del Senato di restituire il vitalizio al quasi moribondo Ottaviano Del Turco. Sì, ma per un mese, è sembrato che le abbiano praticamente imposto i soliti moralizzatori di turno volendo prima accertarsi di quanto davvero disponga il reprobo condannato per induzione indebita, con qualche probabilità -ahimè – che il poveretto nel frattempo muoia davvero. Che tristezza. O che schifo.

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