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I travagli di Conte

Conte

Renzi scambia Conte per un vaccino e ne scopre l’efficacia ancora scarsa

Matteo Renzi ha scambiato Giuseppe Conte per una specie di vaccino contro l’altro Matteo, il capo della Lega ed ex ministro dell’Interno Salvini, assicurando di non essere per niente pentito di averlo prescritto un anno fa come un medico all’allora suo partito. Lui, del resto, è notoriamente convinto dell’obbligatorietà dei vaccini, che Conte invece considera facoltativi, compreso quello in arrivo contro il covid, come lo stesso professore ha appena annunciato tradendo anche in questo una certa sintonia col mondo grillino, almeno quello di un tempo.

Nel fare col Corriere della Sera un bilancio dell’anno trascorso dalla somministrazione di quel vaccino, l’ex segretario del Pd ha tuttavia diagnosticato un’Italia tuttora malata a livello di governo, per niente Viva, e maiuscola, come quella alla quale egli ha fiduciosamente intestato il suo nuovo movimento.

Nonostante il merito di averci riportato “dalla parte dell’asse franco-tedesco” in Europa, che ci avrebbe sbattuto in faccia la porta e negato l’accesso ai 200 miliardi e rotti dei fondi della ripresa con la Lega ancora al governo, Conte secondo Renzi deve ancora “dimostrare” di saper lavorare bene. Che non mi sembra francamente un complimento. “Molti dei provvedimenti  presi – ha detto il senatore di Scandicci – sono funzionali al consenso, come si vede dalla insistita narrazione sui sondaggi” e sulle sue navigazioni in internet. “Ma se vuoi salvare un Paese – gli ha mandato a dire l’ex presidente del Consiglio – non può guidarti l’ansia del consenso. Servono dunque riforme coraggiose, anche facendo cose controcorrente”. E il vignettista del Corriere Emilio Giannelli ha perfidamente tradotto il giorno dopo sulla prima pagina questa parte dell’intervista in una vignetta autocritica.

In risposta all’intervistatrice che gli chiedeva se “veramente questo governo arriverà a fine legislatura”, come Conte aveva appena detto di sperare parlando nel Brindisino, Renzi è stato alquanto gelido. “Non ho la palla di vetro”, ha detto. E  si è ritrovato una volta tanto d’accordo col segretario del Pd da cui era fuggito. O si era comunque staccato l’anno scorso, condividendo “il punto fermo di Nicola Zingaretti: il governo va avanti se fa le cose giuste per il Paese”.

“Al momento opportuno, quando il premier vorrà chiedere la nostra opinione, non ci tireremo indietro”, ha assicurato Renzi dando ottimisticamente per scontato che il presidente del Consiglio vorrà appunto chiedere l’opinione degli alleati e non decidere da solo con annunci notturni da Palazzo Chigi in conferenze stampa senza domande.

“A me – ha spiegato Renzi – interessa capire che facciamo di Ilva, come rilanciamo la contribuzione per chi vuole assumere o riassumere, quali cantieri sblocchiamo, quando prendiamo i soldi del Mes per la sanità, cosa scriviamo nel piano riforme”. Vasto programma, avrebbe detto il compianto generale Charles De Gaulle da Parigi, e forse ripeterebbe oggi Emmanuel Macron. Eppure Renzi ha dimenticato di aggiungere alla sua lista i problemi, per esempio, della giustizia. Che non sono solo quelli del Consiglio Superiore della Magistratura dopo il mercato delle carriere emerse dal telefonino di Luca Palamara, ma anche la riforma del processo penale per evitare che la prescrizione breve in vigore da otto mesi, introdotta come una supposta nella legge enfaticamente chiamata “spazzacorrotti”, crei l’imputato a vita, senza limiti di tempo per i giudizi di secondo e terzo grado.

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