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Il ruolo di Enrico Letta
I Graffi di Damato. Enrico Letta fra apprezzamenti e sfottò nella scalata al Nazareno
Ha prodotto un minestrone di apprezzamenti, rievocazioni, soprannomi e anche sfottò ad Enrico Letta il ritorno, oltre che a casa, sulle prime pagine dei giornali come possibile successore di Nicola Zingaretti alla guida di un Pd che un po’ da storico e un po’ da editorialista Paolo Mieli ha appena definito “un partito divoratore di leader e adoratore del potere”. Per cui sembra appropriata la vignetta di Stefano Rolli, sul Secolo XIX, che praticamente suggerisce all’ex presidente del Consiglio di assumere subito quanto meno “un assaggiatore”, non essendo stato ancora scoperto e tanto meno prodotto un vaccino anche per gli avvelenamenti, oltre che per il Covid.
Il “Rieccolo” di memoria montanelliana gli è in qualche modo spettato per l’affinità pur adottiva, essendo nato a Pisa da famiglia abruzzese, con altri due “Rieccoli” toscani: quello originario inventato da Indro Montanelli, cioè Amintore Fanfani, e quello più recente che si chiama naturalmente Matteo Renzi, caduto e risorto più volte negli ultimi sei anni: dalla sconfitta referendaria sulla riforma costituzionale nel 2016 alla conferma a segretario del Pd l’anno dopo, dalla sconfitta elettorale nel 2018 anche come segretario del partito alla ricomparsa come regista, l’anno dopo, del secondo governo di Giuseppe Conte, salvo abbatterlo poi per spianare la strada di Palazzo Chigi a Mario Draghi.
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Proprio a proposito di Draghi, considerato il più politico dei tecnici, Enrico Letta è stato indicato come il più tecnico dei politici e perciò “il Draghi del Pd” o, per lo stato in cui quel partito è ridotto per la descrizione fattane dallo stesso segretario dimissionario, “il Draghi dei poveri”.
Quel “forte” datogli da Zingaretti nella presunzione di aiutarlo a succedergli è stato tradotto in “maschio” nella vignetta di Sergio Staino sulla Stampa dalla figlia del mitico Bobo, sentendosi però rispondere dal padre che Enrico Letta “ha tanta femminilità dentro… tanta, credimi, tantissima”. Quelli del Foglio invece sono stati attratti dalle lenti dell’interessato per definire “il partito degli occhialini” quello che egli potrebbe costruire attorno a sé, fra “giuristi, economisti, giovani”, sempre che naturalmente i “divoratori” – per dirla con Paolo Mieli – gliene lasceranno il tempo.
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Non poteva naturalmente mancare in questo minestrone di giudizi, valutazioni e quant’altro i riferimenti familiari ad un altro Letta: lo zio Gianni, grande consigliere e ambasciatore di Silvio Berlusconi. Se n’è ricordato il solito Fatto Quotidiano dedicandogli “la cattiveria” di giornata sulla prima pagina: “Enrico Letta è rientrato in Italia dopo l’invito a diventare il nuovo segretario del Pd. Imbarazzo nel partito: intendevano Gianni Letta”. Già, perché in quel giornale sono convinti che, prima di dimettersi forse per pentimento, Zingaretti abbia lasciato fare a Mario Draghi un governo su misura per Berlusconi, oltre che per Matteo Salvini. L’ultima prova sarebbe la decisione appena presa dal presidente del Consiglio di nominare sottosegretaria allo Sport Valentina Vezzali, “berlusconiana e poi montiana”, perciò “perfetta per un governo di centrodestra”. E così è anche servito, a suo modo, Beppe Grillo per avere accettato pure lui Draghi a Palazzo Chigi trovando subito un posto politico al… deposto Giuseppe Conte: “rifondatore” del MoVimento 5 Stelle, o come diavolo esso potrà chiamarsi alla fine.