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“Il treno del Pnrr ha rallentato ma non si è fermato, il Def è prudente”. Parla il prof. Bollino

Prof Bollino Intervista

Conversazione con il prof. Carlo Andrea Bollino su Pnrr, Def e necessità di lavoratori migranti nel nostro paese 

La Camera ieri ha approvato con 196 voti favorevoli la questione di fiducia posta dal Governo sull’approvazione, del decreto che attua il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e il Piano nazionale degli investimenti complementari al Pnrr. Un passo importante per l’esecutivo che ora è chiamato a porre rimedio ai ritardi di cui ha parlato in aula il ministro per gli Affari europei, per le politiche di coesione e per il PNNR Raffaele Fitto. L’alternativa è perdere la prossima tranche di finanziamenti europei, eventualità che il nostro paese non può permettersi.

Dell’attuazione dei programmi del Pnrr e delle previsioni del Def ne abbiamo parlato con il prof. Carlo Andrea Bollino, ordinario di Economia Politica presso l’Università degli Studi di Perugia e docente di Econometria ed Economia dell’Energia preso la Luiss Guido Carli di Roma.

 Ieri il ministro Fitto ha dichiarato che il nostro paese è in ritardo con il PNRR. Cosa rischia il paese se perde il “treno” del Pnrr?

Le rispondo con una metafora. Qui non stiamo parlando di perdita del treno ma di rallentamento. Se il treno ritarda di dieci minuti va tutto bene, oltre scatta anche la penale, per cui se il treno è oltre un certo livello di ritardo i passeggeri vanno anche rimborsati. Il ministro Fitto sicuramente ha dato una scossa al Paese per dire “sbrigatevi”.

Ma a carico di chi è la responsabilità di questi ritardi?

Il PNRR era stato concepito con una visione top down cioè il governo Conte aveva chiesto alle varie amministrazioni di operare, in base alle rispettive capacità, senza veramente coordinare una strategia di rilancio del Paese. Per fortuna quando è arrivato Draghi ha risistemato il Pnrr con una visione di rilancio Paese, e questo prima della guerra in Ucraina. Ora il nuovo governo sta aggiornando il piano tenendo conto del problema della lievitazione dei costi.

Ora in termini economici la lievitazione dei costi potrebbe causare lo stop di un progetto se dovesse aumentare il costo di un materiale importante, strategico per la riuscita del progetto tutto il progetto. Quindi occorre trovare quelle soluzioni con tecnici e coordinatori che sappiano spendere bene.

Come valuta l’accentramento della gestione del Pnrr?

Il fatto che il ministro Fitto abbia portato la gestione del Pnrr dalla ragioneria generale dello Stato, quindi dal ministero del Tesoro, alla Presidenza del Consiglio, è solo un buon segno, certo bisogna vedere.

Quindi è un accentramento funzionale alla buona riuscita del progetto?

Certo, un po’ come avvenne con il Piano di vaccinazione del Generale Figliuolo: la vaccinazione di massa ha funzionato perché Draghi l’ha messo in mano ha una organizzazione centralizzata come quella del generale Figliuolo. La decentralizzazione è un principio fondamentale dell’economia politica moderna, da Adam Smith in poi funziona così la concorrenza, ma quando le condizioni di mercato sono normali, quando non lo sono, come in questo caso, ecco la necessità di una visione intelligente di utilizzo delle risorse in favore dei cittadini.

Il Def ha tracciato il quadro di un paese in moderata ripresa. Lo trova plausibile?

Il Def stima una crescita tra lo 0,9% nel tendenziale e arriva a una percentuale superiore con il programmatico. Sono stime prudenziali, cioè noi vorremmo vedere di più ma ricordo che la stima del governo è necessaria anche per fare i conti con l’ingessatura della burocrazia europea. Un obiettivo prudenziale è più facile da raggiungere e ci mette in condizione di migliore elasticità con l’Unione Europea.

Anche perché tra poco ritorna il patto di stabilità.

Esatto e ricominciamo con la solita storia per la quale se non si rispettano gli standard arriva la penalizzazione. Quindi il governo ha preferito scegliere un obiettivo prudenziale ed è molto giusto perché così non si promettono sogni al paese.

Nel Def c’è una indicazione che ha fatto un po’ di scalpore, quella che riguarda la necessità del nostro paese di accogliere lavoratori migranti. Negli ultimi due giorni ci sono stati dei passi indietro del governo, a parole, il ministro Lollobrigida ha parlato di “sostituzione etnica”.

Naturalmente noi abbiamo bisogno di manodopera e di far crescere il paese. Nel Regno Unito hanno scelto un primo ministro che arriva da una cultura indiana, certo è un paese più multietnico del nostro. Diciamo così, ogni paese, e anche il nostro, ha una tradizione, una cultura e dei valori da preservare. Il bilanciamento, secondo me, deve essere fatto dal mercato, alla fine sarà il mercato che ci farà capire se abbiamo bisogno e di quali professionalità abbiamo bisogno, da formare e da rendere poi i cittadini italiani.

Io, da professore universitario, dico che quando vedo figli di immigrati di seconda generazione che prendono 30 nel mio corso sono molto contento per il mio paese, perché vuol dire che abbiamo formato qualcuno che sarà un’ottima capitale umano per l’Italia, indipendentemente dalla provenienza geografica.

Questo argomento si intreccia con quello della denatalità. Anche in questo caso c’è qualche proposta che ha destato qualche polemica: l’azzeramento della tassazione per le famiglie con almeno due figli oppure l’aumento dell’assegno unico. Queste misure di carattere economico secondo lei possono essere efficaci?

Lo sono state moderatamente in passato. C’è un problema di fondo, cioè che c’è questa visione che i giovani non fanno figli perché non hanno la sicurezza del posto fisso. Ora quello che noi chiamiamo contratto a tempo indeterminato, in un paese come gli Stati Uniti d’America cioè 3-400 milioni di persone, vale solo per 14 giudici della Corte costituzionale e alcuni professori dell’università. Il resto non vive con il posto fisso a vita, eppure, gli Stati Uniti d’America sono un paese che si sviluppa in maniera veloce e dinamica.

Ecco, il problema è culturale. L’idea è che un giovane non fa un figlio perché non ha il posto fisso. In realtà un giovane, se ha la consapevolezza di essere bravo, il figlio lo e poi va avanti nella vita dal punto di vista umano culturale, sociale e professionale.

Per aiutare l’occupazione giovanile e contrastare la piaga dei Neet nella bozza del decreto Lavoro Def c’è la proposta di bonus assunzioni per gli under 30. Secondo lei queste misure di incentivazione possono davvero servire per far entrare i ragazzi nel mondo del lavoro o servono più che altro alle aziende per risparmiare?

No alle aziende per risparmiare assolutamente no. Perché l’azienda vuole un capitale umano di lungo periodo, secondo me sono un’ottima idea perché facilita l’ingresso e quindi fa conoscere meglio le imprese ai giovani e i giovani alle imprese. Quindi è sicuramente una misura positiva perché innesca un meccanismo che permette a un imprenditore di scegliere un numero maggiore di giovani da mettere alla prova e poi i migliori andranno avanti; quindi, la trovo una norma positiva dal punto di vista dell’efficacia economica

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