Intelligenza artificiale ed editoria: dal wartemark per i contenuti prodotti dalle macchine alla tutela del copywright
È durato più di un’ora l’incontro tra la Premier Giorgia Meloni e il fondatore di Microsoft Bill Gates. Il tema al centro del colloquio è stato l’impatto dall’intelligenza artificiale sul mercato del lavoro e in particolare dell’editoria. Microsoft e Open Ai, l’azienda proprietaria di chatgpt, hanno tra loro una partnership, i cui dettagli non sono noti, ma sui quali sta provando a fare chiarezza la Commissione Europea per un possibile abuso di posizione dominante, prima ancora un’indagine era stata aperta dall’autorità Britannica per la concorrenza.
INTELLIGENZA ARTIFICIALE: È NELLE MANI GIUSTE?
Ma non erano questi i temi al centro della riunione, a una parte della quale ha partecipato anche padre Paolo Benanti, presidente della commissione AI per il Dipartimento informazione ed editoria, consigliere di Papa Francesco sui temi dell’intelligenza artificiale e dell’etica della tecnologia e membro italiano del New Artificial Intelligence Advisory Board, il comitato che si occupa di intelligenza artificiale istituito dall’onu.
“Io ho partecipato solo a un piccolo pezzo in cui si parlava chiaramente delle sfide che pone l’intelligenza artificiale – ha detto padre Benanti -. Abbiamo qualcuno che ha fatto la storia di questo settore, e abbiamo la presidente del Consiglio dei ministri che ha espresso tutta una serie di cose che abbiamo già sentito espresse nel discorso che ha fatto all’Onu o in altri discorsi. Bill Gates, da tecnologo ha soprattutto sottolineato i grandi vantaggi di ottimizzazione di alcuni processi che possono arrivare. Per quanto riguarda i rischi lui dice che l’importante è che siano le mani giuste, approcci differenti”.
EDITORIA E L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE: UN AMORE IMPOSSIBILE
Il Comitato AI e l’editoria, che di recente ha visto l’avvicendamento alla guida tra l’ex presidente della Consulta Giuliano Amato e padre Benanti, si occupa di predisporre misure per contrastare gli effetti più pericolosi dell’ai sull’informazione, l’editoria e il giornalismo. Giovedì padre Benanti è stato protagonista di un’audizione in Commissione Vigilanza Rai. Anche in questo caso tema dell’audizione è come far convivere il nostro mercato del lavoro con l’intelligenza artificiale. Priorità della Commissione è proteggere la figura professionale del giornalista. “Figura fondamentale – ha detto padre Benanti – per nutrire quella parte dell’opinione pubblica e tutto ciò che sostiene il funzionamento democratico. Ecco, oggi il giornalista potrebbe essere un elemento secondario nella produzione della notizia: potrebbero esistere redazioni senza giornalisti, e questa è la prima grande sfida”.
L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE MINACCIA LA STAMPA LIBERA E LA DEMOCRAZIA?
Benanti ha sottolineato come una stampa libera e giornalisti sicuri siano criteri fondamentati per identificare un contesto democratico. A questo è necessario che collaborino anche i grandi player della tecnologia sebbene “al momento non rispondono alle logiche degli editori”. La dimensione sovranazionale di tali soggetti richiede che le decisioni siano prese a livello comunitario e internazionale, come sta facendo l’Europa con l’AI Act. L’indistinguibilità tra prodotto umano e prodotto di una macchina renderà ancora più complesso distinguere ciò che è vero da ciò che è falso. “Se i contenuti prodotti da una macchina diventano verosimili e difficilmente distinguibili da altre forme di contenuti, il problema della disinformazione e delle fake news diventa un problema urgente. Il problema è internazionale, non solo italiano”, aggiunge padre Benanti.
LA TUTELA DEL COPYRIGHT: LA CAUSA DEL NEW YORK TIMES INSEGNA
A necessitare di protezione, però, non sono solo i giornalisti ma tutto il sistema. Il New York Times ha intentato causa contro Microsoft e openai: secondo il Times, il motore di ricerca Bing! Di Microsoft e openai ha usato gratuitamente milioni di articoli del quotidiano per addestrare le chatbot, come chatgpt, che oggi fanno concorrenza proprio ai quotidiani. Il tema del copyright è stato tra quelli discussi da Benanti in Commissione e dunque uno dei punti da sviluppare con la taskforce governativa. “Esiste un problema legato al diritto d’autore ovvero al copyright – ha detto Benanti –. La macchina, addestrata su tutte le parole che gli uomini hanno prodotto, riesce a restituire un testo molto simile a quello umano. E qui si apre un grande problema: questa è una violazione del copyright e in che misura? La legislazione europea e italiana in parte già risponde. Uno dei problemi che però ci sono è la capacità del diritto di dimostrare tale violazione”.
EDITORIA E GIORNALISMO: UN SETTORE SOTTO ATTACCO
Nodo cruciale della vicenda è che la diffusione dell’intelligenza artificiale arriva a colpire un settore già duramente provato dalla rivoluzione digitale degli ultimi 20 anni. “Rispetto alla sostenibilità industriale del comparto, se c’è una spesa viva per produrre la notizia e ci sono sistemi che filtrano qualsiasi possibilità di revenue, è chiaro che il comparto potrebbe essere danneggiato in maniera irreversibile – dice Benanti – La commissione sta ancora lavorando sulle eventuali proposte di una bozza che non ha nessuna pretesa se non offrire ai decisori politici uno scenario e quelle che sono le possibilità o limiti” dell’uso dell’ai.
LA PROPOSTA: USARE UN WATERMARK PER RICONOSCERE I CONTENUTI PRODOTTI DALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Dall’audizione arriva anche una proposta per tutelare gli articoli e i contenuti giornalistici prodotti da umani e non macchine addestrate. È l’idea del watermark, una sorta di bollino la cui presenza dovrebbe permettere il riconoscimento di contenuti prodotti dall’ai sviluppata dalle multinazionali. Ma anche in questo caso ci sono diverse insidie. La prima è la natura sovranazionale delle aziende in questione; perciò, sarebbe molto semplice eludere le leggi italiane. La seconda è che il watermark potrebbe essere contraffatto.
“Se non possiamo garantire al 100% che ciò che è prodotto artificialmente sia riconoscibile attraverso un watermark, potremmo però chiedere a chi produce il watermark di rispondere in tempi certi e veloci a una autorità che chiede di rimuovere i contenuti – ha detto padre Benanti -. Questa, però, è una parte che va studiata meglio, perché ci sono degli elementi di grigio soprattutto nei mezzi che la renderebbero attuabile, perché non è detto che tutte le piattaforme rispondano con la stessa velocità”.