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La caldissima settimana della riforma della Giustizia

Magistrati

I Graffi di Damato. Quel diritto di veto che i magistrati non hanno nei rapporti col Parlamento

Siamo all’inizio di una settimana decisiva per la riforma del processo penale, dovendosi svolgere dietro le quinte della Commissione Giustizia della Camera le trattative sulle modifiche reclamate da Giuseppe Conte, per conto non si sa di quanta parte del MoVimento 5 Stelle, alla “improcedibilità” proposta dal governo al posto della prescrizione abolita dall’ex ministro pentastellato della Giustizia Alfonso Bonafede con l’esaurimento del primo grado di giudizio. “Un colpo di genio”, è stato definito da Carlo Nordio quello della guardasigilli Marta Cartabia per “rendere innocuo”, con scadenze precise dei successivi gradi di giudizio, il blocco disposto dal predecessore.

Ebbene, all’inizio -ripeto- di una simile settimana vorrei riproporvi una specie di diritto di veto dei magistrati sulle competenze legislative del Parlamento, cioè della politica, reclamato tra le righe di un’ intervista a Repubblica di Giuseppe Cascini. Che prima di approdare al Consiglio Superiore della Magistratura, anzi arrivandovi proprio per questo, è stato segretario dell’associazione nazionale delle toghe. Di cui non a torto lo stesso Consiglio Superiore, per quanto presieduto per dettato costituzionale dal Capo dello Stato, spesso appare un’appendice per la capacità purtroppo dimostrata di subire i condizionamenti derivanti dal gioco delle correnti dei magistrati. Che non sono meno perniciose di quelle dei partiti o movimenti, dove è solo un atto di generosità ritenere che davvero si lavori e si combatta, all’occorrenza, per “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Così almeno dice l’articolo 49 della Costituzione con una formula rimasta appesa alle buone intenzioni, non essendosi mai voluto procedere ad una legge attuativa per disciplinare davvero partiti e movimenti con regole di garanzia effettiva, e non solo verbale, della democrazia interna. Almeno una volta c’erano i congressi, ora non più, o quasi.

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Un po’ spiazzato anche lui dalla decisione di Sergio Mattarella di non fare approdare nel plenum del Consiglio Superiore della Magistratura di mercoledì la sostanziale bocciatura della riforma del processo penale espressa dalla sesta commissione perché limitata solo agli articoli riguardanti la improcedibilità, o ex prescrizione, e non sull’intero provvedimento, Cascini ha detto testualmente: “Se, come si legge, il governo dovesse porre la questione di fiducia sul testo prima di consentire al Consiglio Superiore della Magistratura di esprimere il suo parere, l’effetto paradossale sarebbe quello di sottrarre alla conoscenza della Camera e dell’opinione pubblica il contenuto del parere sulla improcedibilità che la commissione ha già elaborato”.

A parte l’enfatico e un po’ populista richiamo ad una opinione pubblica tenuta presuntivamente all’oscuro, fa un po’ ridere pensare che la Camera, peraltro dopo tutte le audizioni svoltesi nella Commissione Giustizia, abbia bisogno di un documento formalmente approvato dal plenum del Consiglio Superiore della Magistratura per conoscerne davvero l’orientamento. La verità è che a quel parere sotto sotto, ma neppure tanto, si vorrebbe dare il valore o il significato -ripeto- di un diritto di veto che il Consiglio non ha. Come d’altronde non lo ebbe neppure quello espresso nel 2019 contro l’abolizione della prescrizione con l’esaurimento del giudizio di primo grado. Che era stata introdotta come una supposta nella legge cosiddetta spazzacorrotti, promulgata dal presidente della Repubblica pur in presenza, augurabilmente, di qualche riserva per il prevedibile effetto del cosiddetto “imputato a vita”.

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