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La sfida di Conte a Grillo

Conte

I Graffi di Damato. Tra sfida e scippo la richiesta di Conte di far votare su di lui sotto le cinque stelle

Chi ha simpatie per Conte, o solo lo considera il male minore in uno scenario politico contrassegnato ancora non dico dalla centralità ma dalla presenza del MoVimento 5 Stelle, ha visto e indicato una “sfida” nella conferenza stampa dell’ex presidente del Consiglio. Che ha chiuso il capitolo del confronto, delle mediazioni e quant’altro e ha sfidato, appunto, Grillo a far votare gli iscritti sullo statuto da lui predisposto non per “imbiancare” ma per rifondare davvero il MoVimento. I contiani vanno dal fanatismo del Fatto Quotidiano alla ragionevolezza, o persino paura dei cosiddetti giornaloni per il rischio di convivere con quella cosa indistinta che è oggi un MoVimento declassato realisticamente da Conte a “comunità”, per giunta “sfibrata” da una crisi di cosiddetta “identità”.

La “comunità”, al cui voto Conte ha pur affidato la sua partita reclamando anche una vittoria larga, non ai punti, cui egli rinuncerebbe restituendo la creatura al creatore, ricorda un po’ quell’altra di recupero dei drogati resa celebre dal compianto Vincenzo Muccioli a San Patrignano, fondata nel 1978: l’anno politicamente più tragico della Repubblica. Le brigate rosse sfidarono – anche loro – lo Stato sequestrando e infine uccidendo Aldo Moro. Che della Repubblica era diventato il regista in attesa di arrivare al Quirinale, il palazzo che in un certo senso egli aveva prenotato col ruolo ormai assunto di tessitore degli equilibri politici.

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Chi invece ha simpatie per Grillo, magari solo scambiandolo per l’avversario più comodo da battere o neutralizzare, ha preferito vedere e indicare nella conferenza stampa di Conte uno “scippo” o un tentativo di scippo, che è notoriamente un reato, di cui c’è ben poco da vantarsi in una società di onesti e ordinati. Ha gridato allo scippo da destra, con la solita franchezza, Maurizio Belpietro sparando il titolo su tutta la prima pagina della sua Verità. Che non è evoluta, diciamo così, come Il Fatto Quotidiano, col quale ha condiviso per un certo tempo attacchi e umori, quando il giornale di Marco Travaglio pendeva dagli umori di Grillo come dalle sue labbra, prima di scoprire e proteggere Conte, magari esagerando.

Di chi sarà la vittoria in questa partita non so francamente prevedere. Neppure io vado oltre la previsione di Vauro Senesi, che nella vignetta del Fatto ha immaginato e rappresentato “gli strilli di Grillo”. Essi possono essere tutto o niente: tutto se lo statuto predisposto da Conte, che pure affida al garante, cioè al comico, la prerogativa di poter proporre in qualsiasi momento agli iscritti la sfiducia al presidente del MoVimento, non sarà neppure messo ai voti o sarà bocciato, o approvato troppo stentatamente. E niente se, passata l’arrabbiatura, ed esaurita la quantità pur industriale dei suoi abituali insulti, il comico si fingerà quel “genitore generoso” che Conte gli ha suggerito di diventare, magari per tentare poi di tornare ad essere “il padre padrone” che lo stesso Conte ha mostrato di avere avvertito sia quando era presidente del Consiglio, subendo o prestandosi a tutte le sue svolte, sia nei quattro mesi in cui ha assicurato di avere “studiato” il MoVimento, e non solo predisposto lo statuto.

Permettetemi un’ultima malizia. Da padre padrone Grillo si è comportato anche nei riguardi del figlio Ciro con quell’improvviso video in cui, pur volendolo difendere dai sospetti di stupro coltivati dai magistrati inquirenti di Tempio Pausania, in realtà lo spingeva verso il rinvio a giudizio. I padri padroni sono specialisti nelle autoreti.

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