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I grilli di Grillo

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I Graffi di Damato. L’ascesa di Luigi Di Maio fra le cinque stelle cadenti di Grillo e di Conte

Smascherati nel senso di liberi dalle loro maschere sanitarie e politiche in quest’Italia d’altronde bianca nella valutazione degli epidemiologi, Beppe Grillo e Giuseppe Conte devono esserle dette e metaforicamente date di tutti i colori, e di tutte le ragioni, in una telefonata che è stata definita “di fuoco” e “burrascosa” da quelli del Fatto Quotidiano. Che onestamente – va loro riconosciuto – hanno precisato di averlo saputo da fonti contiane, registrando per dovere diciamo così d’ufficio anche voci evidentemente diffuse da fonti grilline di successivi “segnali di pace”.

Sotto le stelle ormai cadenti dell’omonimo MoVimento anche i comunicatori sono divisi. O fanno i giochi ordinati dai loro referenti. Non a caso è anche sulla scelta dei comunicatori che fondatore e rifondatore si sono scontrati, l’uno diffidando delle scelte e frequentazioni dell’altro. Grillo, per esempio, si fida della cantautrice Nina Monti, in linea con lui anche con quello che canta, come “Indignati ancora”. Conte invece preferisce ormai il suo Rocco Casalino, che lo sovrasta anche di stazza fisica. E al quale si attribuisce, a torto o a ragione, la convinzione che ormai da solo Conte valga molto più di Grillo e possa stracciarlo, o quasi, alle elezioni con liste personali.

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Di quello che fondatore e rifondatore si sono detti, e persino gridati, qualcuno avrebbe persino ascoltato per strada, sotto l’abitazione romana dell’ex presidente del Consiglio, l’accusa di Conte a Grillo di avere ormai “distrutto il progetto”, almeno il suo. Che una volta egli stesso definì di “umanesimo”, naturalmente “sostenibile”, come lo sviluppo e tutto ciò che l’ex capo del governo avverte, propone, contempla.

Mancano ormai, mentre scrivo, poche ore alla conferenza stampa preannunciata da Conte per la chiusura fallimentare o la prosecuzione della missione rifondatrice del MoVimento affidatagli in febbraio da Grillo davanti ai resti dei Fori Imperiali, a Roma. Ma non è azzardato prevedere che anche nella ipotesi di una prosecuzione, consigliata all’esterno delle 5 Stelle ai due contendenti pure dalla sondatrice e consigliera di fiducia di Silvio Berlusconi, Alessandra Ghisleri, sulle colonne del Fatto Quotidiano, si tratterà sempre di un percorso accidentato. Non avremo insomma un abbraccio alla maniera di Roberto Mancini e di Gianluca Vialli, che ha commosso gli italiani dopo la vittoria sugli austriaci e la promozione degli azzurri ai quarti di finale dei campionati europei di calcio.

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Dalla crisi intervenuta o aggravatasi nei rapporti tra Grillo e Conte, o viceversa per chi preferisce l’ordine alfabetico, l’unico che sembra averci guadagnato davvero nel MoVimento è l’ex capo e ora ministro degli Esteri Luigi Di Maio, indicato ad esempio per il suo lavoro alla Farnesina da Grillo come in una finzione, voglia, previsione di reinvestitura. Non ha forse torto Stefano Feltri, anche nella valutazione negativa che ne consegue, a scrivere sul Domani di Carlo De Benedetti che “se i Cinque stelle vogliono capitalizzare quel che resta della loro esperienza politica, il modello Di Maio si delinea come l’unico rimasto: un partito spregiudicato, senza identità definite, capace di passare dalla richiesta di impeachment per il capo dello Stato a difensore delle istituzioni, da rivale delle lobby a loro strumento prediletto, contemporaneamente anti-evasione e propenso a piccoli condoni, fustigatore dei malcostumi e sempre attivo nel piazzare amici, famigli, portaborse”.

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