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L’autonomia differenziata? Non penalizza il Sud. Parla il prof. Guzzetta

Autonomia Differenziata, Parla Guzzetta

Il successo della riforma dell’autonomia differenziata spaventa molti, e non per il rischio di aumentare il divario tra nord e sud. Conversazione con il costituzionalista Giovanni Guzzetta, componente del CLEP, il comitato che dovrà occuparsi di stabilire i Lep

L’iter della riforma dell’autonomia differenziata è stato rimandato a settembre. Questo però non ha tenuto al riparto il disegno di legge S. 615 da strascichi di polemiche che hanno interessato le rimostranze delle regioni, soprattutto quelle del Mezzogiorno, e il percorso per la formulazione e la determinazione dei Lep, i Livelli Essenziali delle Prestazioni.

Abbiamo chiesto a Giovanni Guzzetta, costituzionalista e componente del Comitato per i Lep, l’organo di 61 esperti che dovrà occuparsi di stabilire i Lep quale sia lo stato dell’arte della riforma e se siano comprensibili le preoccupazioni circa l’esasperazione del divario tra le regioni del nord e quelle del sud.

Negli ultimi giorni abbiamo assistito a uno scontro sul tema della riforma dell’autonomia differenziata tra Stato e Regioni. In particolare, il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano ha chiamato a raccolta le regioni del sud, sul rischio che il Mezzogiorno venga penalizzato. Secondo lei sono preoccupazioni plausibili?

Se il Mezzogiorno è penalizzato lo è già, nel senso che l’autonomia differenziata non aggiunge e non toglie nulla alla situazione attuale nella quale, com’è noto, dopo 22 anni dalla riforma del 2001, non sono stati mai definiti, in moltissimi settori, i livelli essenziali delle prestazioni che debbono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Quindi questa riforma, da questo punto di vista, non fa altro che cercare di recuperare il tempo perduto. Poi la principale novità della riforma è che laddove lo Stato decidesse, perché è sempre lo Stato che ha l’ultima parola, di concedere forme maggiori di economia a certe regioni, queste regioni dovranno trovare il modo di farsi carico di queste nuove funzioni.  Il modo principale è rendere più efficienti i servizi che offrono. E questa è una sfida che riguarda sia il nord che il sud.

Lei sembra non credere alla penalizzazione delle regioni del Sud.

Io francamente questo argomento sulla penalizzazione delle regioni del Sud non lo capisco, perché nessuno lo ha mai articolato in modo giuridicamente comprensibile. Quindi francamente è un argomento molto a effetto ma che non capisco. Alcuni segnalano, per argomentare questa tesi, che la spesa pro capite per il Sud sarebbe più bassa di quella per il Nord. Questo, però, non c’entra niente con l’autonomia differenziata perché è la situazione allo stato attuale; quindi, non può essere imputata all’autonomia differenziata. E poi è tutta da dimostrare perché la spesa pro-capite dipende da una serie di fattori, primo fra tutti quello della capacità delle regioni di spendere le risorse messe a loro disposizione dello Stato e, in particolare, dall’Unione europea. Ed è noto che, purtroppo, le amministrazioni del Sud sono meno capaci di spendere queste risorse. Quindi se la spesa storica è più bassa è anche dovuto all’inefficienza amministrativa delle regioni del Sud. E ci tengo a dire che lo dico da meridionale, essendo io siciliano. Bisogna cambiare il paradigma, cioè bisogna capire che affinché le regioni del Sud abbiano una possibilità di riscatto, debbono attrezzarsi in termini di efficienza delle amministrazioni, di capacità operativa e recuperare un gap che è un gap soprattutto di tipo culturale, organizzativo e amministrativo. L’autonomia differenziata non c’entra nulla.

Qualche giorno fa sul Messaggero il presidente Prodi paventava un rischio di aumento del divario, che già oggi esiste fra il Nord e il Sud, nel settore della sanità perché potrebbero essere demandati alle Regioni anche i contratti del personale, con remunerazioni ovviamente legate alle possibilità finanziarie delle Regioni stesse. È una preoccupazione legittima?

Tutto dipende dalla scelta che lo Stato farà nel delimitare le materie che saranno devolvibili alle regioni e nel determinare i Livelli Essenziali delle Prestazioni che ciascuna regione deve assicurare. Il tema del personale è molto complesso, per il quale, per il momento, io non intravedo questo rischio e non mi pare che ci sia questa richiesta da parte delle Regioni. Peraltro, in materia di personale, esistono le norme che attribuiscono allo Stato la competenza esclusiva. Quindi, l’unica cosa che posso immaginare è che ci sia la possibilità di interventi integrativi da parte delle regioni nella misura in cui, però, abbiano le risorse proprie. Il vero problema è che l’autonomia differenziata si collega a un altro tema, anch’esso trascurato, in questi 22 anni dalla riforma del Titolo V, quello del federalismo fiscale. L’articolo 119 risulta ancora ampiamente inattuato. L’art. 119 avrebbe dovuto assicurare la possibilità per le regioni di avere una reale autonomia finanziaria, pur prevedendo, come fa al comma V, la possibilità per lo Stato di intervenire con interventi mirati proprio per le zone più svantaggiate. Perciò sulla carta questo rischio, ancora una volta, non c’è. La verità è che a furia di paventare rischi e pericoli siamo rimasti nell’immobilismo totale. E la situazione certamente più disagiata del sud dipende da ciò che è stato fatto negli ultimi decenni, non da ciò che potrà essere fatto nel futuro.

La partita dei Lep sembra essere quella più delicata. Il governo, con un emendamento, ha creato un iter abbastanza articolato. A suo parere, è indispensabile un’organizzazione così articolata oppure c’è il rischio che il percorso di approvazione dei Lep sia troppo lungo?

Il governo ha scelto una strada, a mio parere, molto rigorosa. I Livelli essenziali delle prestazioni avrebbero dovuto essere garantiti a prescindere dall’autonomia differenziata, questo è il dato che bisogna avere presente. Il problema dei Lep è un problema che si pone indipendentemente dall’autonomia differenziata e che si pone da 22 anni. La Corte costituzionale in un numero oramai considerevole di sentenze ha sottolineato, più volte, che lo Stato ha l’onere di definire i Lep, cosa che, a parte per alcuni settori, non è mai stata fatto. A parte il settore sanità, dei servizi sociali, quello, embrionale, degli asili nido e qualche altro settore, i livelli essenziali non sono mai stati definiti. Ora i livelli essenziali vanno definiti, come dice la Corte, comunque. Quindi l’autonomia differenziata, rispetto ai livelli essenziali, è una variabile indipendente. Malgrado ciò il governo ha ritenuto che, affinché si potesse avviare il processo dell’autonomia differenziata, fosse comunque necessario stabilire anticipatamente questi livelli essenziali. È chiaro che un’operazione che per 22 anni non è stata fatta, non è un’operazione semplice. Evidentemente ci sono delle difficoltà e delle resistenze, perciò il percorso che ha individuato il governo è necessariamente un percorso complesso. Quindi non è una strada sbagliata, è una strada irta, in salita, ma una volta scelta, e secondo me è stato un atto di serietà e di coraggio da parte del governo, è chiaro che ci voglia del tempo. Peraltro, questo tempo è stato definito dal legislatore, la tabella di marcia è stata rispettata anche grazie all’impegno, alla determinazione del Presidente Cassese che guida il comitato di tecnici di cui anche io faccio parte che deve istruire la materia della definizione dei Lep. Quindi, al momento, io ritengo che, per quanto complesso, il percorso stia marciando secondo la tabella di marcia. È questo forse il motivo per cui qualcuno comincia a essere preoccupato che si possa veramente arrivare alla fine.

Cosa intende?

Intendo che il nostro è un paese nel quale raggiungere i risultati da molti viene visto come una preoccupazione. Siamo abituati alla cultura del “lamentalismo” che si rivela molto più redditizia della cultura della pragmatica realizzazione degli obiettivi. Questo non riguarda solo questo argomento ma è un tema generale. Nel momento in cui i problemi vengono risolti non ci si può più lamentare che non siano stati risolti. Diciamo che ci vorrebbe una bella due diligence sulle politiche per il sud degli ultimi negli ultimi trent’anni

Il Presidente Zaia ha “minacciato” la solidità della maggioranza se dovesse venire meno la riforma.  Dall’altro anche i presidenti di regione del sud appaiono preoccupati dalla riforma. C’è il rischio di uno scontro istituzionale?

Queste sono valutazioni che riguardano la sfera della politica e dei rapporti politici e io non ho titolo per pronunciarmi. A me sembra che, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, l’intento sia quello di far marciare tutte le riforme che sono nel programma di governo, nella stessa misura. E penso che le varie forze politiche che sono al governo sappiano benissimo che questa è un’occasione importante perché, come sappiamo bene, la storia politica del nostro paese è lastricata di fallimenti delle varie maggioranze, di qualunque colore fossero, non tanto per la presenza di minacce esterne, ma per l’implosione delle maggioranze stesse. Quindi, io credo che chi è al governo oggi sia consapevole del fatto che si indispensabile evitare di alimentare conflitti, ammesso che ci siano, che mettano in pericolo la tenuta della maggioranza. Perché il rischio è precipitare, ancora una volta, in una situazione di ingovernabilità.

Leggi anche: Autonomia differenziata, perché si è già spaccato il comitato dei Lep?

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