Skip to content

Libero vs Corriere della Sera: tutto sulle capocciate tra Cairo e Angelucci

libero corriere della sera

Le frecciate a distanza tra Angelucci (Libero) e Cairo (Corriere della Sera) negli articoli di Mario Gerevini e Alessandro Sallusti attorno alla questione dei fondi pubblici 

Botta e risposta fra Corriere della sera e Libero quotidiano.

È guerra fra gli editori Urbano Cairo del Corriere della sera e Antonio Angelucci di Libero quotidiano?

È la domanda che si pongono non solo i giornalisti dei due giornali ma anche di altri quotidiani visto quanto e come le due testate si stanno dando… testate.

CORRIERE DELLA SERA CONTRO LIBERO

La botta è partita dal Corriere della sera che in un articolo del cronista finanziario Mario Gerevini – noto per spulciare i bilanci delle società non solo italiane – ha elencato patrimonio e business aggiornati del parlamentare ex Forza Italia e ora della Lega, Antonio Angelucci (nella foto), editore dei quotidiani Libero e Tempo, in procinto di comprare dalla famiglia Berlusconi il quotidiano Il Giornale ora diretto da Augusto Minzolini.

Gerevini tra l’altro sottolinea:

“La Fondazione San Raffaele (8 milioni di patrimonio e perdita di 1,2 milioni nel 2020) non pubblica i bilanci, è un ente non profit, gestisce alcune attività sanitarie e controlla al 100% l’Editoriale Libero che prende in affitto la testata «Opinioni Nuove-Libero Quotidiano». Lo schema fondazione + testata beneficiaria dei contributi dà accesso ai fondi per l’editoria (ne godono un centinaio di testate). Per il 2021 Libero, che ha chiuso il bilancio con 15 milioni di ricavi e un piccolo utile, ha ottenuto 5,4 milioni (uno dei top-budget).

Tuttavia lo statuto della Fondazione dice che l’ente, «apolitico e apartitico», ha lo scopo di contribuire all’ «esplorazione di nuove strade nella ricerca … nel trattamento di ogni forma di disabilità … disporre liberalità con finalità assistenziale e/o di ricerca» ecc. Ed è categorico nell’affermare che «la Fondazione non potrà svolgere alcuna altra attività se non quelle previste dallo statuto». Nel quale non c’è una sola parola che faccia riferimento anche lontanamente all’editoria o a quote di società editoriali. Eppure il 9 novembre 2020 la Fondazione ha comprato dalla Finanziaria Tosinvest per 7,8 milioni (rate fino al 2025) un ulteriore 40% dell’Editoriale Libero di cui già possedeva il 60%. Oggi Libero rappresenta una fetta preponderante del patrimonio della Fondazione”.

LIBERO CONTRO IL CORRIERE DELLA SERA

Su questa questione oggi il direttore di Libero, Alessandro Sallusti, non rettifica o smentisce, ma rilancia attaccando il principale azionista del Corriere della Sera,Urbano Cairo, presidente e amministratore delegato di Rcs:

“Il fondo per l’editoria a cui accede Libero non è l’unico finanziamento pubblico a giornali ed editori. Sarebbe giusto informare i contribuenti italiani, quindi anche i lettori del Corriere, che parte delle loro tasse finiscono direttamente nelle tasche di Urbano Cairo attraverso diversi rivoli. Per esempio il Corriere della Sera, come tutti, incassa dallo Stato cinque (tra poco dieci) centesimi di euro per ogni copia venduta. Per non parlare del non marginale contributo che lo Stato gli concede per acquistare la carta. E che dire del prepensionamento pagato con soldi dell’Inps, cioè pubblici, per i non pochi giornalisti che il Corriere ha mandato a casa, per alleggerire i propri organici e quindi i propri conti, dopo soli 25 anni di lavoro? E ancora: rientrano nel computo anche una ventina di milioni che gli enti pubblici mettono a disposizione di Cairo per organizzare ogni anno il Giro d’Italia, che oltre a essere una corsa ciclistica è il business con il quale Rcs sistema il proprio bilancio. Non basta? Altre milionate pubbliche arrivano al Corriere sotto forma di pubblicità molto, ma molto, generose nei loro confronti di aziende di Stato quali Leonardo, Tirrenia, Cassa depositi e prestiti, Eni, Enel”.

Ecco come zampillano i contributi statali ai giornali. Report Data Media Hub

Dolomiten, Famiglia Cristiana, Avvenire, Libero e non solo: ecco i giornali che ricevono più contributi pubblici

+++

ESTRATTO DI UN ARTICOLO DI MARIO GEREVINI DEL CORRIERE DELLA SERA DIRETTO DA LUCIANO FONTANA:

Antonio Angelucci vuole comprare «Il Giornale» dalla famiglia Berlusconi. La trattativa sembra in dirittura d’arrivo. Il quotidiano milanese, fondato nel 1974 da Indro Montanelli, affiancherebbe altri due giornali nazionali dell’imprenditore romano, re delle cliniche: «Il Tempo», storica testata della Capitale controllato dalla Finanziaria Tosinvest; e «Libero» delle grandi firme Vittorio Feltri (direttore editoriale) e Alessandro Sallusti (direttore responsabile) che fa capo a una Fondazione di famiglia.

I verbali del consiglio di amministrazione della Fondazione San Raffaele, la compravendita del 40% di Libero e le carte lussemburghesi ci aiutano a entrare nel cuore dell’impero Angelucci, 200 milioni di ricavi tra sanità, immobili, facility management ed editoria. Nell’editoria e nell’impegno politico, in particolare, Antonio Angelucci, 78 anni, emerge come abile uomo d’affari e di relazioni. Lo dimostrano due elementi. Il primo: pur avendo asset per 343 milioni (di cui 41 milioni in opere d’arte) custoditi in Lussemburgo e regolarmente contabilizzati anche grazie a un vecchio scudo fiscale, e pur essendo Angelucci uno dei parlamentari più ricchi con 3,75 milioni di reddito imponibile 2021 (4 nel 2020, 5 nel 2019), la famiglia ha ottenuto negli anni per «Libero» decine di milioni di contributi pubblici (nel duplice senso che pagano i contribuenti e che sono alla luce del sole).

Il secondo: l’onorevole Angelucci da 14 anni è in Parlamento, prima con Forza Italia e ora con la Lega, ma da 14 anni non lo si vede quasi mai alla Camera; ha il record negativo di presenze alle votazioni: tra lo 0,41% e il 3,2% degli anni di maggiore impegno.

I tre figli non hanno quote, nemmeno Giampaolo l’unico a rivestire ruoli di rilievo nel gruppo. Antonio, secondo le dichiarazioni antiriciclaggio, possiede il 100% della holding lussemburghese Three, 343 milioni di patrimonio, compresi 41 milioni in opere d’arte conferite nel 2017. La Three controlla il gruppo sanitario San Raffaele (157 milioni di ricavi, 9 di utile, 3 mila posti letto in 22 strutture sanitarie) e la Finanziaria Tosinvest (67 milioni di fatturato, 6,6 di perdita) cui fanno capo, tra l’altro, Palazzo Botteghe Oscure, Villino Foschi e Palazzo Aracoeli a Roma.

Poi c’è l’ibrido, la Fondazione San Raffaele. Formalmente non fa parte del gruppo ma indiscutibilmente è di famiglia. La governance, «atipica», prevede che l’assemblea dei fondatori, ovvero Angelucci padre e i tre figli, nomini i tre membri del cda per tre anni. Solo che ogni anno sistematicamente un manager si dimette per «ragioni personali» e fa scattare la clausola simul stabunt simul cadent che azzera il cda. Così ogni anno i fondatori nominano gli amministratori per un triennio. È un’arma di potere legittima ma che toglie autonomia e indipendenza ai consiglieri, consapevoli del meccanismo.

La Fondazione San Raffaele (8 milioni di patrimonio e perdita di 1,2 milioni nel 2020) non pubblica i bilanci, è un ente non profit, gestisce alcune attività sanitarie e controlla al 100% l’Editoriale Libero che prende in affitto la testata «Opinioni Nuove-Libero Quotidiano». Lo schema fondazione + testata beneficiaria dei contributi dà accesso ai fondi per l’editoria (ne godono un centinaio di testate). Per il 2021 Libero, che ha chiuso il bilancio con 15 milioni di ricavi e un piccolo utile, ha ottenuto 5,4 milioni (uno dei top-budget).

Tuttavia lo statuto della Fondazione dice che l’ente, «apolitico e apartitico», ha lo scopo di contribuire all’ «esplorazione di nuove strade nella ricerca … nel trattamento di ogni forma di disabilità … disporre liberalità con finalità assistenziale e/o di ricerca» ecc. Ed è categorico nell’affermare che «la Fondazione non potrà svolgere alcuna altra attività se non quelle previste dallo statuto». Nel quale non c’è una sola parola che faccia riferimento anche lontanamente all’editoria o a quote di società editoriali. Eppure il 9 novembre 2020 la Fondazione ha comprato dalla Finanziaria Tosinvest per 7,8 milioni (rate fino al 2025) un ulteriore 40% dell’Editoriale Libero di cui già possedeva il 60%. Oggi Libero rappresenta una fetta preponderante del patrimonio della Fondazione.

Resta da capire chi sia il titolare della testata «Opinioni Nuove-Libero Quotidiano» che l’Editoriale Libero, percettore dei contributi pubblici, prende in affitto. Non si va lontano: è la Finanziaria Tosinvest che si fa pagare 500 mila euro annui.

+++

ESTRATTO DI UN ARTICOLO DI ALESSANDRO SALLUSTI, DIRETTORE DI LIBERO QUOTIDIANO:

“Dice il Corriere: attenzione, Libero “insieme a un centinaio di altre testate” percepisce contributi pubblici. Notizia vera, ma parziale. La notizia corretta sarebbe: Libero, come del resto il Corriere della Sera, percepisce soldi pubblici. Già, perché il fondo per l’editoria a cui accede Libero non è l’unico finanziamento pubblico a giornali ed editori. Sarebbe giusto informare i contribuenti italiani, quindi anche i lettori del Corriere, che parte delle loro tasse finiscono direttamente nelle tasche di Urbano Cairo attraverso diversi rivoli. Per esempio il Corriere della Sera, come tutti, incassa dallo Stato cinque (tra poco dieci) centesimi di euro per ogni copia venduta. Per non parlare del non marginale contributo che lo Stato gli concede per acquistare la carta. E che dire del prepensionamento pagato con soldi dell’Inps, cioè pubblici, per i non pochi giornalisti che il Corriere ha mandato a casa, per alleggerire i propri organici e quindi i propri conti, dopo soli 25 anni di lavoro? E ancora: rientrano nel computo anche una ventina di milioni che gli enti pubblici mettono a disposizione di Cairo per organizzare ogni anno il Giro d’Italia, che oltre a essere una corsa ciclistica è il business con il quale Rcs sistema il proprio bilancio. Non basta? Altre milionate pubbliche arrivano al Corriere sotto forma di pubblicità molto, ma molto, generose nei loro confronti di aziende di Stato quali Leonardo, Tirrenia, Cassa depositi e prestiti, Eni, Enel”.

+++

Ecco come zampillano i contributi statali ai giornali. Report Data Media Hub

Dolomiten, Famiglia Cristiana, Avvenire, Libero e non solo: ecco i giornali che ricevono più contributi pubblici

 

(Articolo pubblicato su Start Magazine)

 

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Torna su