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Lo sapete che Renzi ha querelato Conte?

Conte

Cosa succede tra Matteo Renzi e Giuseppe Conte negli ultimi giorni (ore) di campagna elettorale

Meno male che questa sera, con gli ultimi comizi di piazza e appelli televisivi, finirà questa campagna elettorale curiosamente benedetta dagli amici del Foglio con quel titolo già nostalgico in rosso: “Avercene così”, con “avversari che dialogano, poche demonizzazioni, tentativi (anche se goffi) di mostrarsi affidabili”. E con la domanda: “Sicuri che sia stata una campagna bruttissima?”. Addirittura “spassosa” l’ha trovata sul Fatto Quotidiano il fondatore e mio amico Antonio Padellaro.

Pur se ignorato da tutti i giornali nelle prime pagine,  quell’annuncio televisivo di Matteo Renzi a Barbara Palombelli -sulla quarta rete berlusconiana- di avere querelato per diffamazione Giuseppe Conte è un po’ la notizia emblematica non dello spasso ma della tragedia della politica italiana. Che da tempo accetta che a praticarla siano più i tribunali che i partiti.

Eppure Renzi è di quelli che, anche sulla sua pelle, dovrebbe avere imparato qualcosa in materia. Il camaleontismo dell’ex presidente del Consiglio, ora fortunatamente solo presidente di quel ch’è rimasto del MoVimento 5 Stelle del 2018 -un camaleontismo di cui proprio oggi si occupano su Repubblica ben otto firme- è tutta roba, o robaccia politica, non giudiziaria. Quella sfida che Conte gli ha fatto di andare ad attaccare il reddito grillino di cittadinanza nelle piazze del Sud ,“senza scorta”, è stata tutta politica. E se il reddito di cittadinanza ha preso il posto delle scarpe e degli spaghetti dei lontani tempi di Achille Lauro, prima che nascesse il reato del voto di scambio, anche questo è un fatto dannatamente politico. Che peraltro fu rimproverato pure a Renzi quando raccoglieva voti da presidente del Consiglio, prima dell’infortunio referendario sulla riforma costituzionale, con quegli ottanta euro in più  -se non ricordo male- infilate nelle buste paga del pubblico impiego.

Il senatore di Scandicci va ancora oggi orgoglioso di quegli ottanta euro, dichiaratamente o spavaldamente incurante dell’antipatia riservatagli dagli avversari per la disinvoltura con la quale è riuscito nella legislatura ormai alle nostre spalle a montare e smontare governi e maggioranze, sino a fare arrivare a Palazzo Chigi più di un anno e mezzo fa Mario Draghi. Del quale Conte ha ancora una paura da morire per il peso che potrà avere sui partiti italiani anche dopo che è riuscito a farlo dimettere, senza tuttavia liberarsi del suo fantasma, appena rientrato dagli Stati Uniti con un altro bel po’ di prestigio internazionale addosso. Che è stato vanamente sbeffeggiato con le immagini dell’aula dell’assemblea delle Nazioni Unite poco frequentata all’ora in cui gli è capitato di poter parlare.

I discorsi, le situazioni, le congiunture non si giudicano dal numero degli spettatori. Piazze piene e urne vuote, gridò nel lontano 1948 Pietro Nenni commentando il flop elettorale del “fronte popolare” che lui aveva avuto la sventura di comporre con i comunisti regalando loro, fra l’altro, nella sconfitta il sorpasso sui socialisti.

Pensate, per esempio, volendo fermarci alla Piazza romana del Popolo in cui ieri sera il centrodestra ha un po’ anticipato la festa della vittoria ormai attribuitagli anche dagli avversari, costretti solo a sperare di contenerla all’ultimo momento, che tanta gente e tante bandiere valessero di più di quella foto rubata -prima dell’arrivo in ritardo di Berlusconi- a Giorgia Meloni e a Matteo Renzi seduti a confabulare fra le impalcature? A me personalmente ha incuriosito più quella foto che ogni altra della serata romana del centrodestra, e dei leader ripresi sul palco da soli o tutti insieme.

Quei due appartati e da tanti considerati concorrenti più che alleati, uno più sospettoso dell’altro, mi hanno dato l’impressione che sotto sotto possano essere complici di chissà quale piano di difesa da Berlusconi e -lontano, a Bruxelles- dalla sorveglianza appena annunciata dalla presidente in persona della Commissione Europea, Ursula von der Leyen.

TUTTI I GRAFFI DI DAMATO.

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