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M5S, Pd, Lega e il pericolo della disinformazione sul referendum che taglia i parlamentari

Lavori Commissioni Senato

Un sondaggio di Ipsos lancia l’allarme: solo il 28% degli italiani è a conoscenza del referendum costituzionale che si terrà in settembre insieme alle elezioni regionali

Il 20 e 21 settembre si terrà il referendum per il taglio dei parlamentari insieme al voto per le elezioni regionali. Infatti, in alcune città e regioni si tratterà di un “election day”, perché gli elettori voteranno anche per il rinnovo dei consigli regionali di Veneto, Liguria, Marche, Puglia, Toscana e Campania e di molti consigli comunali, compresi alcuni capoluoghi di regione: Venezia, Trento e Aosta. Al referendum, se vince il sì i parlamentari passeranno da 945 a 600, alla Camera i deputati diminuiranno da 630 a 400 e a Palazzo Madama i senatori scenderanno da 315 a 200.

IL FRONTE DEL SÌ

Il primo sostenitore del sì è il Movimento 5 Stelle, che ha legato a questa legge la sorte di entrambi i governi di cui ha fatto parte (Conte I e Conte II). I grillini vogliono la riduzione dei costi delle Camere e lo snellimento delle procedure legislative. “Oltre al risparmio, c’è anche una semplificazione delle leggi, perché con meno parlamentari avremo testi con meno emendamenti fatti solo per fare”, ha dichiarato l’ex capo politico dei 5 Stelle, attuale ministro degli esteri, Luigi Di Maio. Anche Lega e Fratelli d’Italia hanno detto che voteranno sì al referendum. “Inviteremo tutti a votare per confermare il taglio dei parlamentari al referendum” ha detto il segretario federale della Lega, Matteo Salvini, a inizio anno, sottolineando che “se il popolo italiano lo confermerà, è evidente che il Parlamento sarà ulteriormente delegittimato”. Il ragionamento di Salvini è il seguente: “Non è immaginabile che questo Parlamento possa andare a eleggere il Presidente della Repubblica, se il popolo vota per un taglio drastico dei parlamentari e gli stessi parlamentari in sovrannumero di 300 vogliono tirare in lungo per andare ad eleggere un presidente della Repubblica con numeri diversi da quelli richiesti dal popolo mi sembrerebbe una lesione della democrazia”. Ecco perché, proprio per destabilizzare il governo e poter chiedere nuove elezioni, nove delle firme necessarie per presentare il referendum sono state di senatori della Lega. Forza Italia, invece, è divisa. 42 firme per il referendum appartengono al partito di Silvio Berlusconi e due dei promotori sono senatori di Forza Italia. Ma ci sono correnti contrarie.

IL PD

Il Partito democratico aveva votato sì al taglio ma aveva chiesto garanzie per l’approvazione della nuova legge elettorale. Proprio questo passaggio è rimasto fermo in commissione a causa delle manovre di Italia viva e nonostante i tentativi di Nicola Zingaretti difficilmente la legge elettorale potrà essere approvata almeno alla Camera prima del referendum. “Aver impedito l’intesa è un fatto molto grave che indebolisce le ragioni del taglio dei parlamentari”, ha detto l’eurodeputato del Pd, Goffredo Bettini, considerato l’ideologo del segretario, “Senza legge elettorale, il sì al referendum è pericoloso”. La voglia di orientarsi verso no sta aumentando anche tra parlamentari democratici – soprattutto quelli provenienti dalle regioni più penalizzate – che hanno già organizzato un comitato. La linea che ormai si è fatta strada nel Pd è quella di un disimpegno del partito sul tema referendario: “Zingaretti lascerà libertà di coscienza”, dice un deputato della corrente del segretario, “del resto, il nostro sì in Parlamento dopo tre voti contrari era arrivato solo per salvare il governo Conte II”. Con il rischio che questa divisione nella maggioranza provochi conseguenze per la tenuta proprio di quello stesso governo che il sì del Pd era servito a far nascere. “La posizione del Pd sul referendum è un pasticcio, questa riforma nata solo per strizzare l’occhio alla demagogia antipolitica e antiparlamentare andava fermata prima”. Ha detto all’HuffPost Tommaso Nannicini, a capo del comitato democratico per il no al taglio dei parlamentari. Nannicini ha espresso parole forti, per scuotere il partito e i cittadini sui reali effetti di questo taglio. “Il taglio dei parlamentari piace a chi vuole sostituire le Camere con Rousseau. Io penso di no e ripeto: non è solo una questione di legge elettorale ma di funzionamento delle istituzioni. Senza i correttivi richiesti a questa riforma malfatta e mal pensata si lascerebbe il Parlamento in balia del trasformismo di due o tre senatori, anche nell’elezione degli organi di garanzia. la riforma andava fermata prima, perché non è mai stata pensata dai 5 Stelle e dalla Lega per rendere le istituzioni più vicine ai cittadini e alla gente. I territori, gli italiani all’estero, le zone meno popolose non avranno più rappresentanti e così si allontana la politica dai territori. I parlamentari saranno scelti in liste bloccate dai capetti di partito senza nessun legame con i territori e in Senato i governi saranno sempre in balia di due o tre senatori. Infine, avremo commissioni che funzioneranno peggio, quindi leggi più confuse e meno efficaci. In una parola: democrazia più debole. Il referendum fa piacere a chi vuole sostituire la democrazia rappresentativa con una piattaforma digitale privata”.

IL FRONTE DEL NO

A favore del no sono Sinistra italiana, + Europa, il Partito socialista e Azione. Verso il no anche Italia Viva, che al momento del voto dell’ottobre 2019 si è espressa per il sì alla legge, ma solo “per lealtà a questa maggioranza”, come ha ricordato il deputato Roberto Giachetti, tra i primi a firmare per il referendum e che ha definito la legge “un tributo alla fabbrica dell’antipolitica”. In Forza Italia, come anticipato, la corrente che fa capo a Mara Carfagna si è schierata sul fronte del no. Lo ha definito “un referendum salva-poltrone”. Simone Baldelli, deputato di Forza Italia e tra i promotori del comitato per il no al referendum sul taglio dei parlamentari, ha dichiarato: “Esiste un problema drammatico di mancanza di informazione. Se lei adesso scendesse per strada e fermasse 10 persone chiedendo loro cosa voteranno al referendum del 20 e 21 settembre, 9 su 10 le risponderebbero con una domanda: ‘Quale referendum?’ Quasi nessuno ne sa nulla. Per questo, ad agosto, è molto difficile fare una campagna referendaria degna di questo nome per smontare le balle assurde che sono alla base della propaganda in favore del sì. Noi lo stiamo facendo sui social con l’hastag #iovotono. E di questo sono molto fiero. Ma vogliamo porre al centro del dibattito il tema dell’informazione. Anche per questo incontriamo i presidenti di Camera e Senato. E faremo altre iniziative nei prossimi giorni”. Come ha fatto notare il comitato del no, tramite Baldelli, “L’abbinamento tra referendum costituzionale ed elezioni locali è grave e non ha precedenti. In sintesi, diciamo che l’abbinamento è illegittimo perché turba lo svolgimento sereno e corretto della campagna referendaria, che ha per oggetto una modifica di rango costituzionale, schiacciandola in un clima di scontro elettorale tra partiti e coalizioni, in cui viene meno il diritto del cittadino a conoscere per deliberare. Poi ci sono altre questioni: il diritto di voto degli italiani all’estero e lo svolgimento del voto in due giorni. Ci sono anche altri ricorsi che riguardano la costituzionalità del taglio dei parlamentari e le sue conseguenze negative sul nostro sistema”. Il punto vero è che il referendum taglia la rappresentanza ma senza variare il metodo di elezione delle Camere.

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