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La giustizia italiana secondo Carlo Nordio

Nordio Graffi Damato

I Graffi di Damato

Anche se l’unica, vera guerra più vicina alle nostre case rimane quella in Ucraina, aperta nello scorso mese di febbraio da Putin non prevedendo la  resistenza degli aggrediti aiutati dall’Occidente, la cronaca della politica interna italiana continua ad annunciare e commentare bombe più meno grandi che cadono sul governo e sui partiti a volte di maggioranza, a volte di opposizione, a volte di entrambi.

Ieri è stato il caso della guerra fra Bankitalia e governo, per fortuna chiusa prontamente dalla presidente del Consiglio in persona, Giorgia Meloni, che non ha avvertito critiche dell’ex istituto di emissione sulle “grandi voci” della manovra finanziaria all’esame del Parlamento ed ha perciò zittito anche colleghi di partito, oltre che di governo, insorti per resistere o contrattaccare. La premier si è guadagnata per questo oggi in prima pagina la definizione di “equilibrista” dal Foglio, che pure ieri era stato l’unico a raccontare e spiegare nella sua cronaca che il funzionario di Bankitalia ascoltato dalle commissioni parlamentari aveva apprezzato nel suo complesso la legge di bilancio, pur criticandone alcuni aspetti.

Sempre oggi la bomba avvertita nelle redazioni di quasi tutti i giornali in prima pagina, fatta eccezione per La Verità di Maurizio Belpietro, è quella di Carlo Nordio sulla Giustizia, di cui è ministro. “Nordio accusa”, ha gridato il Corriere della Sera, come in una riedizione del celebre “J’accuse” di Emile Zola  in Francia nel 1898 per il caso Dreyfus, ingiustamente accusato di tradimento. “Sfida ai pm”, ha gridato la Repubblica scommettendo, per la detonazione della bomba, sul grande potere di cui dispongono in Italia i pubblici ministeri. E che Nordio appunto, avendone sperimentato le funzioni in prima persona, ha finalmente intenzione di contenere in limiti decenti, diciamo così, vista l’indecenza alla quale si sono abbandonati, per fortuna, non tutti di sicuro ma alcuni magistrati sì, e non sempre, o assai raramente, pagandone le conseguenze.

Nella redazione di Repubblica debbono avere -se mi consente il pur apprezzabilissimo direttore Maurizio Molinari- una ben curiosa concezione delle condizioni di crisi in cui versa la giustizia in Italia se, a commento della “sfida” appena attribuitagli, Carlo Bonini ha paragonato il guardasigilli in carica a Nerone, piuttosto che a Giustiniano. Da melomane Il Foglio ha apprezzato il carattere melodioso della musica suonata da Nordio alla Commissione Giustizia del Senato, dove ha esposto il suo proposito di limitare e displicare finalmente in modo serio le intercettazioni, di separare le carriere dei pubblici ministeri e dei giudici e di dire la verità, nient’altro che la verità, come giura ogni testimone nei processi, sul principio costituzionale della obbligatorietà dell’azione penale, dietro al quale si nasconde spesso l’arbitrarietà più assoluta. Peccato solo che anche Il Foglio, per quel vezzo un pò provinciale di ostentare la conoscenza anche di qualche lingua straniera, oltre che italiana, abbia reso impossibile a molti lettori -ritengo- di capire l’elogio riservato a Nordio definendolo “unchained”. Pazienza.

Ma Il Foglio ha tenuto anche a precisare che con “più garanzie e meno carcere” quello del nuovo Guardasigilli, con la maiuscola, è un “programma non proprio meloniano”, provenendo la presidente del Consiglio da una formazione politica e da una cultura di tutt’altro segno. Che è poi anche la convinzione del mio amico Piero Sansonetti esplicitata con quel forte titolo sparato, come un’altra bomba, sul suo Riformista: “E’ tornato il vero Nordio! (Speriamo che Meloni non se ne accorga…)”.

Se n’è accorto invece sul Fatto Quotidiano Marco Travaglio dando a Nordio, nel suo editoriale, del “cosiddetto ministro della Giustizia” abbandonatosi a “nuovi anatemi a grappolo contro il mestiere che faceva (così almeno pare) fino all’altro ieri: il magistrato”.

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