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Clima e dissesto, perché finiscono sotto accusa gli uffici del Mase
Non solo le polemiche con la Regione di centrosinistra, con la violenta ondata di maltempo in Emilia Romagna finiscono sotto accusa anche gli uffici del Ministero dell’Ambiente
Che fine ha fatto il Piano nazionale sul dissesto idrogeologico? A chiederlo non sono le forze di opposizione, bensì un ministro del governo Meloni rivolto a un altro ministro, a un suo collega. Il tutto avviene nelle ore convulse e drammatiche che sta vivendo la comunità romagnola, colpita da una nuova violenta ondata di maltempo, e mentre continuano le polemiche con il governo regionale guidato da anni dal centrosinistra.
PERCHE’ IL PIANO SUL DISSESTO IDROGEOLOGICO E’ FERMO DA 5 MESI AL MINISTERO DELL’AMBIENTE?
E’ stato il ministro competente, Nello Musumeci – in quota FdI e con delega alla protezione civile – a spiegare, giovedì in conferenza stampa a Palazzo Chigi, che il Piano “è fermo da 5 mesi nelle strutture del ministero dell’Ambiente”, ovvero il dicastero guidato dal forzista Pichetto Fratin. Il motivo? Sempre Musumeci: “credo che lo stiano valutando attentamente. Conosco la sensibilità del collega Pichetto Fratin, il quale più volte ha sollecitato i suoi collaboratori, ma rimane ancora fermo perché l’esame sembra essere particolarmente laborioso”.
L’ACCUSA DEL MINISTRO MELONIANO AGLI UFFICI GUIDATI DAL FORZISTA PICHETTO FRATIN
Il ministro meloniano ha poi aggiunto: “non appena avremo avuto l’ok anche dal ministero dell’Ambiente potremo portare al Consiglio dei ministri il disegno di legge che consente una serie di interventi su scala nazionale per neutralizzare gli effetti del dissesto idrogeologico, per il quale l’Italia è esposta nel 94% del proprio territorio. Se pensiamo poi che il 60% del territorio è a rischio sismico, immaginate il rischio frane, per non parlare di rischio erosione, di quello bradisismo e di quello vulcanico, ci si rende conto di quanto sia fragile l’Italia. Per cui, la prevenzione deve diventare l’obiettivo prioritario”.
IL SUPPORTO DEI TECNICI DELLA CABINA DI REGIA PER LA CRISI IDRICA
Del resto era stato lo stesso Musumeci, lo scorso anno dopo l’alluvione in Emilia Romagna, a metterci la faccia e ad annunciare appunto un nuovo piano nazionale sul dissesto idrogeologico, per “rileggere il territorio” alla luce del cambiamento climatico in Italia. ‘Un provvedimento – scriveva il Sole24Ore – in accordo con altri ministeri che entro la prima metà del 2024 porterà ad interventi mirati, dalla realizzazione di nuove dighe all’eliminazione degli sprechi di acqua.
(…) A dare il proprio contributo al Piano saranno il lavoro dei tecnici della cabina di regia sul dissesto, quelli che fano capo al commissario straordinario per la crisi idrica e i report dei tecnici locali, che forniranno analisi e stabiliranno una lista delle maggiori criticità nelle proprie zone”. Una strategia “su due binari – sottolineava sempre il Sole24ore -: da un lato, le misure da adottare per affrontare le piogge abbondanti, dall’altro, quelle per far fronte ai lunghi periodi di siccità”.
ALTRE ACCUSE AL MASE: CHE FINE HA FATTO IL PNACC?
Non solo il fuoco amico. A criticare gli uffici del Mase, rendendo plastica la rappresentazione che qualcosa forse non gira per il verso giusto, è stato in queste ore anche il Wwf. “Il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici è rimasto nel cassetto” è l’accusa. Dopo essere stato approvato alla fine dello scorso anno, “il ministro Pichetto – la puntualizzazione dell’associazione – ha meritoriamente accelerato la conclusione di un iter che pareva infinito, anche se il Piano (Pnacc) stesso è carente sotto due aspetti fondamentali: non individua né le priorità, né le fonti di finanziamento. Dopo di che il Piano è stato messo in un cassetto e non è entrato nelle priorità del governo, anche in vista della prossima legge finanziaria”. L’interrogativo finale quindi è: perché tutti questi ritardi?