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Ponte sullo Stretto

Perché la Corte dei Conti ha bocciato il Ponte sullo Stretto

Il “niet” della Corte dei conti al Cipess complica i piani del governo di realizzare il Ponte sullo Stretto. I motivi dietro la decisione e cosa può accadere adesso

La Sezione di controllo della Corte dei Conti sugli atti del governo ha negato il visto di legittimità alla delibera del Cipess approvata ad agosto che autorizzava il progetto definitivo del ponte sullo Stretto di Messina, un atto che impegna circa 13,5 miliardi di euro di finanze pubbliche.

I magistrati contabili dell’organo presieduto da Guido Carlino hanno sollevato dubbi sulla correttezza dell’iter, sulla completezza e attendibilità della documentazione e sul rispetto delle norme europee e ambientali, bloccando il progetto cardine del ministero guidato da Matteo Salvini.

Il governo replica parlando di “ingerenza politica dei magistrati” e annuncia che intende comunque procedere: si apre una battaglia politica e giudiziaria di ampia portata, che s’intreccerà con quella sulla riforma della giustizia.

LA DECISIONE DELLA CORTE

La Corte dei Conti ha motivato il diniego al Cipess con una valutazione complessiva dell’iter: i magistrati hanno ritenuto la documentazione “insufficiente e in alcuni casi errata”, contestando la completezza delle relazioni e la chiarezza delle schede di quantificazione dei costi.

La mancata registrazione della delibera Cipess significa, di fatto, che la procedura così com’è impostata, non ha ottenuto il via libera formale da parte dell’organo di controllo sui conti pubblici. Come riporta la nota ufficiale della Corte dei Conti, le motivazioni ufficiali saranno depositate nei prossimi trenta giorni, ma la sostanza del giudizio è già chiara: il provvedimento non ha superato il vaglio di legittimità contabile.

I DUBBI DEI MAGISTRATI

Nel corso della relazione di ieri, la magistrata delegata Carmela Mirabella ha elencato numerose criticità: dall’attribuzione di competenza al Cipess — definito dalla Corte “organismo dal carattere politico” — alla coerenza tra quadro economico e coperture pluriennali, dalle incongruenze nelle schede di costo alle osservazioni sul mancato coinvolgimento di organismi tecnici come il Consiglio superiore dei lavori pubblici e l’Autorità dei trasporti.

Non è mancato poi il rilievo sulle norme europee che impongono il riavvio di procedure competitive nel caso in cui i costi superino del 50% la cifra iniziale prevista dalla gara, con il rischio di procedura di infrazione e di annullamento dell’affidamento originario a WeBuild.

CHE COSA ACCADE ADESSO

Dal punto di vista procedurale lo scenario è chiaro: la negazione del visto non impedisce automaticamente ogni azione, ma complica fortemente l’iter. Il governo può tornare in Consiglio dei ministri e — motivando la necessità di interesse pubblico superiore — deliberare comunque l’atto; in quel caso la Corte potrebbe pronunciarsi in Sezioni riunite e apporre il visto “con riserva”.

Entrambe le opzioni porterebbero con sé rischi giudiziari: senza il nullaosta pieno della Corte è verosimile una pioggia di ricorsi al TAR, ricorsi costituzionali e istanze che potrebbero arrivare fino alle corti europee.

Procedere “forzando” l’atto espone infatti l’esecutivo a responsabilità politiche e finanziarie: un atto registrato con riserva ha piena efficacia ma viene accompagnato dalla segnalazione al Parlamento da parte della Corte, con la possibilità di creare un conto politico da rendere in termini di responsabilità amministrativa.

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