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Perché Silvio Berlusconi è sceso a Roma

Silvio Berlusconi

La disfatta delle amministrative ha rimesso Berlusconi al centro della scena e infatti l’imprenditore è subito sceso a Roma: mancava dall’insediamento di Draghi. Cosa succede adesso nel centrodestra?

Lo avevano messo in disparte come si fa con le cose vecchie. Lui, l’ideatore politico del ‘centrodestra’, che ai tempi del PdL guidava col pugno di ferro e il piglio dell’aziendalista consumato una coalizione che andava da AN ai nostalgici della DC, fino a ricomprendere una moltitudine di ex socialisti, è stato accantonato senza troppe cerimonie dagli arrembanti Matteo Salvini e Giorgia Meloni, convinti che non ci fosse più spazio per i moderati (ammesso che Berlusconi lo sia mai stato davvero, considerato quanto ha dichiarato a più riprese sulla magistratura) e che la risposta stesse nel populismo.

Due anni circa di pandemia hanno invece ridotto al lumicino il Movimento 5 Stelle e assestato sonore batoste a Lega e FdI, due pesci troppo grossi per lo stagno della destra. Silvio Berlusconi, anziano, acciaccato e messo a letto dal long Covid, ha invece vinto le battaglie che gli alleati gli hanno consentito di giocare: Trieste e le regionali calabresi.

Giorgia Meloni, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini a Bologna nel 2015

Per questo, il mai domo Cavaliere oggi sarà a Roma, per battere il ferro finché è caldo, approfittando del momento che lo vede unico vincitore tra due sconfitti per riproporre a Salvini e Meloni l’idea della federazione del centrodestra.

Basta con tre partiti divisi su tutto, dai vaccini al green pass, fino al sostegno al governo Draghi: la missione romana di Berlusconi sarà riprendere le fila di quel discorso iniziato tra mille difficoltà a Bologna nel 2015 e poi velocemente abbandonato dai due alleati, che pur di raccogliere qualche voto in più non hanno mancato di porre in essere atteggiamenti profondamente scorretti (il più clamoroso, con ogni probabilità, resta l’alleanza tra Salvini e Grillo che ha dato vita al Conte I).

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Berlusconi tornerà a teorizzare che al centrodestra serve una guida in giacca e cravatta, possibilmente in doppiopetto, che tranquillizzi l’elettorato moderato. Basta felpe e urla sguaiate dal palco sul fatto di essere donna e madre. E qui si apre il vero problema che assilla l’imprenditore meneghino da tempo: quello di un delfino. Non lo era il troppo tranquillo Angelino Alfano (gli mancava il “quid pluris“), non lo sarà il fumantino Antonio Tajani, messo lì come reggente per scaldare un posto tuttora vacante. E allora chi?

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