Skip to content

Pil e Pnrr: le grane e i successi del governo. Parla il prof. Mingardi

Pil Pnrr

Pil in calo, ritorno in versione ridotta del Superbonus e sì dell’Ue alla terza rata e alla revisione degli obiettivi della quarta tranche del Pnrr. Conversazione con il prof. Alberto Mingardi, dell’Istituto Bruno Leoni

I dati economici pubblicati dall’Istat restituiscono il quadro di un Pil in calo. Nell’ultimo trimestre il Pil italiano è diminuito dello 0,3% rispetto al trimestre precedente, quando, invece, era cresciuto dello 0,6%. Il dato sul prodotto interno lordo si accompagna alle tensioni sui tassi di interesse riscaldati dalle politiche restrittive della Banca centrale europea e della Fed. Per contro, se il Pil è in calo, l’Italia ha incassato il sì della Commissione Ue all’erogazione della terza rata del Pnrr e alla revisione degli obiettivi della quarta tranche.

Di Pil,  Pnrr e Superbonus ne abbiamo parlato con il prof. Alberto Mingardi, direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni.

Gli ultimi dati Istat hanno riscontrato un calo del Pil dello 0,3%. Il trimestre precedente era cresciuto dello 0,6. Perché questo arretramento?

Il nostro è un paese che ha avuto, negli ultimi due anni, una crescita del Pil decisamente più elevata rispetto a quella a cui era abituato. Dobbiamo dirci a che cosa questa crescita era dovuta. Questa crescita era, in buona sostanza, l’esito del rimbalzo dopo le chiusure, che è stato molto rilevante perché rilevante è stato il costo per l’economia italiana di chiusure e di una situazione pandemica così accentuata, così dura, come quella italiana. E poi, come purtroppo è acclarato, anche di una misura controversa e, sotto tanti aspetti, sbagliata come il Superbonus, che però ha sostenuto in modo importante l’edilizia. Quindi la crescita italiana così alta è stata dovuta al rimbalzo e poi a questo strumento controverso.

Questo strumento non c’è più e secondo me è un bene perché, al di là degli effetti di breve periodo, non era l’uso migliore dei quattrini presi a prestito dai nostri nipoti e, ovviamente, il rimbalzo si è un po’ affievolito. La congiuntura internazionale è gravida di incertezze per tanti motivi: la guerra, il futuro degli Stati Uniti, il suo rapporto con la Cina, in Europa l’economia tedesca è in difficoltà. Per tornare a crescere bisogna attivare motori di una crescita solida e “buona” nel senso che non deve essere basata su prestiti, sollecitazioni monetarie o sussidi ma sul fatto che il paese ha preso una velocità di crociera diversa.

In che modo il rialzo dei tassi di Bce e Fed si stanno facendo sentire sui Pil italiano, europeo e americano?

È inevitabile che se si alzano un po’ i tassi ci sia l’effetto di spegnere un poco, di rallentare, un’economia che era “surriscaldata” anche da tassi troppo bassi mantenuti tali per troppo tempo. Quindi, evidentemente, qualche effetto collaterale c’è, però non sosterrei affatto che questi effetti collaterali siano, per così dire, troppo onerosi rispetto al problema che l’aumento dei tassi vuole fronteggiare, cioè un’inflazione. È la più elevata globalmente dagli anni ‘80 del secolo scorso e in alcuni paesi, come in Germania, addirittura dagli anni ‘50 del secolo

Dobbiamo aspettarci una riduzione dell’inflazione?

È lo scopo di quella politica: l’inflazione si riduce solo attraverso la politica monetaria. Ora, è vero che noi abbiamo un’inflazione elevata che, da un lato, è conseguenza di tanti anni di tassi di interesse troppo bassi, e dall’altro di quell’esplosione di aiuti, di sussidi, dei ristori durante la pandemia da Covid19.  Però stanno venendo meno, perlomeno nel discorso politico, alcune spinte importanti in altra direzione. Una delle ragioni per le quali noi abbiamo avuto un periodo così prolungato di prezzi stabili è anche dovuto al fatto che i confini dello scambio internazionale si andavano espandendo. E quindi noi avevamo la possibilità di beneficiare della concorrenza e della tendenza al contenimento dei prezzi.

Ora non tutti i discorsi sulla fine della globalizzazione che vengono fatti dai nostri politici hanno conseguenze immediate.  Anzi di decoupling e derisking se n’ è parlato molto ma si è visto poco. Però anche quel genere di retorica ha un effetto sulle aspettative, sui comportamenti, sulle decisioni per cui è necessario andare alla ricerca dei nuovi fornitori. Non sono effetti che vanno nella direzione di usare in qualche modo la leva dello scambio internazionale per tenere sotto controllo i prezzi. Non è un caso se qualche mese fa Janet Yellen ha provato in tutti i modi a riaprire dei canali con la Cina anche per discutere dei dazi e misure protettive che sono state messe dagli Stati Uniti nel corso di questi anni.

Perché?

Perché uno scambio internazionale che sia anche percepito come tendenzialmente più intenso e più libero, aiuta ad avere nuove imprese, nuovi produttori, nuovi beni che hanno una pressione contenitiva dei prezzi. Noi abbiamo avuto, dalla fine degli anni ‘80 fino al Covid, un contesto nel quale c’erano Banche centrali indipendenti che tenevano sotto controllo la stabilità dei prezzi ma anche un contesto internazionale molto favorevole. Adesso le Banche centrali devono fare i conti con le conseguenze degli ultimi 13, 14 anni di politiche fortemente espansive e questo contesto internazionale favorevole ovviamente oggi non c’è.

L’Italia, se da un lato soffre un calo del Pil, dall’altro ha ottenuto il sì alla terza rata del Pnrr da 18,5 miliardi e alla revisione degli obiettivi della quarta tranche. Può essere considerato un successo del Governo?

Sì, può essere considerato un successo del governo. Io credo che il primo successo del governo sia anche quello di aver modificato il discorso pubblico sul Pnrr. Cioè di avere limitato quella tendenza, che era invece prevalente lo scorso anno, a pensare che tutte le fortune del paese fossero aggiogate a quel caro. Come sempre quando si discute di questi interventi bisogna stare attenti a non entusiasmarsi eccessivamente, a non pensare che stia arrivando un fiume di quattrini. Alla fine, il successo e la capacità di avere un effetto positivo sull’economia dipenderanno da come sono pensati i singoli interventi. Ogni tanto ci sono delle cose che possono sembrare, sulla carta, degli investimenti e invece sono destinati a essere una fonte di spesa ulteriore negli anni a venire. E sembra che questa cosa il governo l’avesse presente, l’abbia ancora presente e che in qualche modo, quindi, stia cercando di avere uno sguardo più laico sulla questione rispetto a quello del passato.

Cosa ne pensa dell’iniziativa di correlare la durata dei progetti del Pnrr con le tempistiche previste dal canale di finanziamento?

Mi sembra tutto sommato un’idea ragionevole.

Pil in calo, sì alla revisione del Pnrr e ritorno del Superbonus, seppur in versione ridotta e destinato solo alle famiglie più bisognose. Secondo lei perché il governo ha fatto un passo indietro su questo tema?

Ovviamente meglio limitarla rispetto a quello che era prima. Poi il problema è lo stesso, si vedrà. Il problema, come stiamo vedendo con il Reddito di cittadinanza, è che quando si fanno queste politiche poi diventa molto difficile per il decisore politico tornare indietro. Diventa molto difficile perché c’è una schiera di beneficiari, che si tratti di individui o famiglie oppure di un settore imprenditoriale, come nel caso del superbonus, che comprensibilmente si organizza per farsi sentire e per non perdere il beneficio che gli è stato accordato. Quindi aggiungere è relativamente facile, e in più si incassa un dividendo di consenso,  togliere, non solo causa una perdita di consenso, ma ci si ritrova a scontrarsi contro chi aveva tratto vantaggio dalle decisioni precedenti. Poi questo genere di rinegoziazione e passi dietro è, ahimè, la cosa più probabile. Vediamo adesso quale sarà l’atteggiamento del governo rispetto alle ultime tensioni sul reddito di cittadinanza, se riuscirà a tenere il punto o cercherà un accordo di qualche tipo.

– Leggi anche: Ecco come cambia il Pnrr

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
Torna su