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Vi racconto la polemica Meloni-Augias

Replica Augias Meloni Repubblica

Nella replica alla lettera di contestazione mandata dalla premier a Repubblica Augias, da galantuomo com’è, ha riconosciuto di essersi fatto prendere la mano, per cosiddetta “concisione”

Più che lo scandalo, l’incidente, o come altro volete chiamarlo, di Lucia Annunziata che prende praticamente a parolacce davanti alle telecamere di Stato la ministra della famiglia Eugenia Roccella sollecitandola, con tutto il governo, a fare “finalmente questa legge del cazzo” chiesta dalle coppie omosessuali a tutela dei figli procuratisi con la pratica dell’utero in affitto, in un mercato ancora proibito in Italia; più che questo scandalo o incidente, ripeto, mi interessa oggi la polemica che Giorgia Meloni ha voluto avere con Corrado Augias, su Repubblica.

LA REPLICA DI AUGIAS

Senza distrarsi più di tanto con la festa del papà, lasciandosi ritrarre davanti ad una foto che  la riprende col compagno e con la figlia Ginevra, la premier ha contestato con tempestività il “nazionalista” dato dal collaboratore di Repubblica al filosofo francese dell’Ottocento Ernest Renan. Dal quale tuttavia Augias aveva invitato la Meloni a “mettere giù le mani”, avendone lei citato con compiaciuta condivisione la definizione di Nazione. Che -scrisse Renan- “è una grande solidarietà, un plebiscito che si rinnova ogni giorno e si fonda sulla dimensione dei sacrifici compiuti e di quelli che siamo disposti a compiere insieme”.

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Nella replica alla lettera di contestazione  mandata dalla premier a Repubblica Augias, da galantuomo com’è, ha riconosciuto di essersi fatto prendere la mano, per cosiddetta “concisione”, definendo Renan “alfiere del nazionalismo”: meno, certamente, di Wikipedia. Che per i naviganti internettiani  colti in flagranza dalla Meloni ha preso il posto della Treccani ed ha  condannato il filosofo francese come “teorico della razza ariana”, un precursore insomma di Hitler. Un curioso razzista questo Renan letto e apprezzato, fra gli altri, come ha ricordato la Meloni, da uomini come Antonio Gramsci, Giovanni Spadolini e Francois Mitterrand, “non esattamente personalità di estrema destra”, ha osservato la premier italiana.

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Non credo proprio che la Meloni abbia voluto solo fare sfoggio di cultura cogliendo in fallo Corrado Augias, e sorprendendo ancora una volta quanti cercano di liquidare il suo passaggio a Palazzo Chigi come un incidente,  il capriccio di un elettorato andato via di testa e un pericolo per la democrazia da troppi sottovalutato. No. Giorgia Meloni ha voluto compiere un altro passo, diciamo pure un passetto, nella gradualità della sua marcia non su Roma, come quella di Mussolini di più di un secolo fa riavvertita dagli avversari, ma verso la modernizzazione della destra: quella mancata alla sinistra lapidando Bettino Craxi anche da morto e scambiando Matteo Renzi, per la riforma costituzionale del 2016, per un attentatore alla Costituzione repubblicana “più bella del mondo”, come diceva a nome della sua “ditta” politica quel simpaticone, nonostante tutto, di Pier Luigi Bersani. Che con Massimo D’Alema ed altri, fra i quali addirittura Silvio Berlusconi, contribuirono alla bocciatura referendaria del progetto renziano. O renzista.

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