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Polito svela lo svarione di Calenda

Carlo Calenda

I Graffi di Damato

Onore al merito di una polemica giornalistica che è riuscita, una volta tanto, e per giunta in campagna elettorale, a cogliere in fallo un politico e a costringerlo ad una retromarcia, o a qualcosa che in un certo modo le assomiglia. E’ il caso di Antonio Polito, che sul Corriere della Sera di ieri aveva denunciato il contributo appena dato da Carlo Calenda a quello “scetticismo programmatico su qualsiasi proposta, col dileggio che ne deriva per un sistema parlamentare ritenuto ormai incapace di fare alcunché”. E senza rendersi conto -aveva avvertito l’editorialista, peraltro ex parlamentare- che “alla fine l’impotenza della politica rischia di travolgere anche chi la denuncia”.

Lo “scetticismo” di Calenda contestato da Polito era quello espresso sulla riforma presidenzialista della Costituzione proposta da Giorgia Meloni. Che avrebbe minori possibilità di riuscita di un viaggio dello stesso Calenda verso Marte. In questa prospettiva il ricorso all’ennesima commissione bicamerale prospettata dalla Meloni per coinvolgere il maggior numero possibile di forze politiche, al di là dei confini fra maggioranza e opposizioni, sulla strada di una modifica così importante del sistema istituzionale, sarebbe una soluzione “buona” sì, ma “purtroppo” inutile.

Eh no, aveva obiettato Polito. Questo lo lasci dire Calenda a noi giornalisti. Se la soluzione è buona, lui come politico deve impegnarsi a favorirla. Se “purtroppo” è inutile, lui deve impegnarsi a non far perdere tempo, e quindi a contrastarla.

Hai ragione, ha replicato Calenda tuittando. La soluzione è buona e merita un impegno a favorirne il percorso se mai si dovesse riuscire a imboccarlo. E io lo assumo, ha aggiunto il leader del cosiddetto terzo polo. Che ha anche avvertito il dovere di dare “una spiegazione” al suo scetticismo. Essa starebbe nella convinzione che la Meloni ed Enrico Letta si stiano scontrando sulla riforma presidenzialista -peraltro condivisa negli anni passati, aggiungo io, anche da esponenti almeno allora autorevoli del Pd e della sinistra più in generale, come Massimo D’Alema al vertice proprio di una commissione bicamerale- per “polarizzare” la campagna elettorale attorno a loro, e non di più.

Non mi sembra, in verità, una grandissima o soltanto grande spiegazione, perché se il centrodestra dovesse davvero vincere, anzi stravincere le elezioni, come da sondaggi pur adesso preclusi alla diffusione, non si potrebbe ragionevolmente prevedere la rinuncia della Meloni e dei suoi alleati a tentare la riforma con la forza di cui disporrebbero in Parlamento. Dove addirittura potrebbero sfuggire anche alla verifica referendaria prevista dalla Costituzione solo se le modifiche dovessero essere apportate con una maggioranza soltanto assoluta, inferiore ai due terzi di ciascuna delle due Camere. Ma accontentiamoci del riconoscimento almeno avvertito di un dovere di “spiegazione” per non unirci del tutto al sarcasmo della vignetta dedicata in prima pagina proprio ad un Calenda scomposto, a dir poco, da Riccardo Mannelli sul Fatto Quotidiano. Una vignetta che temo invece meritata per il contributo che Calenda ha improvvisamente deciso di dare ad una campagna sostenuta anche dal giornale di Marco Travaglio, nella solita assonanza con i grillini, per un cosiddetto sforamento ulteriore del bilancio per finanziare i soccorsi a famiglie e imprese colpite dal caro-bollette di luce e gas.

Per uno come Calenda e il suo alleato Matteo Renzi, orgogliosamente fedeli all’”agenda”, “metodo” e quant’altro di Mario Draghi, che non intende finanziare questi soccorsi aumentando il debito pubblico, specie ora che il suo governo è di sola transizione verso il nuovo destinato ad uscire dalle urne, questo cambiamento di posizione impone spiegazioni possibilmente migliori di quelle appena fornite a Polito sulla commissione bicamerale “purtroppo” inutile. O no?

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