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Primi effetti del Mattarella bis

Mattarella -e Draghi- tra le macerie dei partiti, non del Parlamento. I Graffi di Damato

Eh no, con tutta la simpatia, il sostegno, la tolleranza che merita la satira, questa volta Emilio Giannelli sulla prima pagina del Corriere della Sera, smentito d’altronde pochi centimetri più in là dal direttore in persona dello stesso quotidiano, ha preso un abbaglio proponendo ai lettori il palazzo della Camera diroccato e fumante con la rielezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica. Le macerie sottintese alla conferma del Capo dello Stato non sono di Montecitorio o, più in generale, del Parlamento, ma dei partiti. Lo dice, anzi lo grida l’editoriale di Luciano Fontana.

Sono i partiti che hanno dovuto subire “obtorto colle”, secondo il felice titolo del Giornale, la conferma di Mattarella per non essere riusciti a trovare un’altra soluzione a causa delle loro divisioni, esterne e interne, e alla totale mancanza anche dell’elementare istinto di conservazione. Che invece hanno avvertito le Camere, per quanto delegittimate dall’anno o poco più che manca alla loro scadenza e dalla riforma voluta autolesionisticamente dai grillini per la riduzione dei seggi. E’ dalle Camere  che è venuta spontanea la spinta alla conferma di Mattarella sin dal primo degli otto scrutini sfociati nella rielezione con 759 voti, secondi solo a quelli presi dal popolarissimo Sandro Pertini nel 1978. I partiti avevano ben altro per la testa, con gli occhi rivolti tutti al loro interno, contemplando ciascuno il proprio ombelico.

Ora, tra le macerie che si sono procurati, paradossalmente garantiti da Mattarella al Quirinale e da Mario Draghi a Palazzo Chigi, per un attimo minacciato ieri persino dal buon Giancarlo Giorgetti con la tentazione delle dimissioni da ministro per reazione al disordine del suo partito leghista; ora, tra le macerie -dicevo- che si sono procurati da soli i partiti potranno regolare ciascuno i propri conti interni. E poi quelli fra di loro, prevedibilmente nelle elezioni ordinarie dell’anno prossimo, se non commetteranno con una crisi avventata anche l’errore di anticiparle, adesso che Mattarella è tornato a poter sciogliere le Camere anzitempo.

Fra tutti i partiti, quello che mi sembra francamente messo peggio -più ancora della già citata Lega a proposito della minaccia rientrata delle dimissioni di Giorgetti da ministro per tutti i torcicolli procuratigli da Matteo Salvini– è il MoVimento 5 Stelle presieduto da Giuseppe Conte. La cui crisi non poteva essere rappresentata meglio dal giornale di Marco Travaglio, che del resto lo conosce più di tutti, nell’editoriale di oggi. In cui si raccontano così le gesta, o fatiche, dell’ex presidente del Consiglio: “Conte, oltre a Berlusconi, non voleva Draghi, né gli invotabili Amato, Casini, Cartabia, Casellati, Cassese&C, e li ha sventati, dando sponda al no di Salvini sul premier (nei giorni dispari). Come piano B non gli dispiaceva il Mattarella bis invocato a gran voce dai gruppi M5S e l’ha avuto. Il suo piano A erano tre nomi di livello e non di parte: Riccardi, Belloni e Severino. Ma giocava con due handicap: non poter votare nessuno dei candidati altrui e dover trattare col coltello di Di Maio conficcato nella schiena”. Ciò ha impedito, in particolare, il decollo della candidatura pur sostenuta da Beppe Grillo in persona, dell’ambasciatrice Elisabetta Belloni, da sette mesi regina -diciamo così- degli 007. “Ecco chi ha ucciso la Presidente donna”, ha titolato il Fatto Quotidiano.

Il delitto è di casa da quelle parti. Si è ripetuto insomma il “Conticidio” già denunciato dallo stesso Travaglio l’anno scorso commentando l’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi. Delitto sempre in casa, con lo stesso pugnale: quello del ministro grillino degli Esteri Luigi Di Maio. E costoro -i pentastellati- sognavano di poter governare addirittura da soli l’Italia.

 

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