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Quanto siamo impotenti di fronte all’invasione russa dell’Ucraina

Invasione Russa

I Graffi di Damato

Penso che, se solo avesse potuto sospettare, pur disponendo forse già di buone informazioni diplomatiche e militari da Mosca e da Kiev, la partecipazione che lo aspettava al doloroso, umiliante spettacolo dell’impotenza di fronte alla guerra in Ucraina, Sergio Mattarella avrebbe continuato ad opporre a gennaio la sua indisponibilità alla conferma al Quirinale. E ciò anche a costo di vedere travolgere dalla dissennatezza dei partiti anche il governo di Mario Draghi, peraltro ancora più partecipe del presidente della Repubblica -per le competenze operative che ha- allo spettacolo umiliante, ripeto, di un Occidente ostaggio del draculismo, a dir poco, di Putin: ostaggio, per dimensione e forza, ancor più di quel povero Zelensky, presidente dell’Ucraina, rappresentato da Emilio Giannelli sulla prima pagina del Corriere della Sera come il topo col quale sta tragicamente giocando il gatto del Cremlino.

“Faremo tutto ciò che si può”, ha detto il capo dello Stato agli ucraini ai quali si è aggiunto ieri nella chiesa romana di Santa Sofia per assistere alla messa. Già, ma cosa si può fare, ancor più di quanto non si si sia già fatto o si stia facendo, senza sconfinare nella terza guerra mondiale per fermare un Putin del quale un giornale come Il Fatto Quotidiano, notoriamente vicino e comunque nostalgico dell’ex presidente grillino del Consiglio Giuseppe Conte, appena riconosciuto dal segretario del Pd Enrico Letta come benemerito della sopravvivenza del governo in carica, ha il coraggio di scrivere in un titolo giustificativo che a Mosca, con chi va a trovarlo o lo chiama al telefono per chiedergli di fermarsi nell’assalto sanguinoso e sanguinario all’Ucraina, “alza il tiro per trattare”. Ma trattare cosa di fronte alle immagini provenienti dalle città e dalle strade ucraine disseminate di morti e rovine che bastano e avanzano a dare l’idea di ciò di cui è capace un uomo così a lungo scambiato da un bel pò di presunti marpioni della politica e della finanza, compreso o a cominciare da Silvio Berlusconi, per uno statista genuinamente democratico, pur nelle condizioni date di un Paese reduce dalla lunga esperienza del comunismo. O “socialismo reale”, come lo chiamavano in tanti nella sinistra italiana senza neppure arrossire di vergogna, tanta era la distanza dal socialismo di quel comunismo governato ed esportato da Mosca.

“Lo zar nel pantano, incubo Kabul per il Cremlino”, ha titolato -sia pure in piccolo, per fortuna- un giornale come Il Secolo XIX, dell’ormai maggiore gruppo editoriale italiano, sia pure in una crisi che lo sta obbligando a privarsi di un settimanale della tradizione dell’Espresso, fra le proteste e le dimissioni del direttore Marco Damilano, il più assiduo frequentatore dei salotti televisivi. E che ce ne facciamo, di grazia, del pantano in cui si è ficcato Putin se non riusciamo a impedirgli di trascinarvi anche l’Occidente? Ciò è accaduto proprio a Kabul, dove i talebani sono tornati a governare con la stessa disinvoltura, in fondo, con la quale governa Putin in Russia e dintorni, persino infilando in carcere chiunque chiami “guerra” quella che lui sta conducendo contro l’Ucraina.

TUTTI I GRAFFI DI FRANCESCO DAMATO

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