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Renzi nel mirino

Renzi

I Graffi di Damato. Quei due bossoli a Matteo Renzi e quella sorprendente solidarietà unanime

Coi tempi che corrono, e al livello di odio cui è stato ridotto in Italia il dibattito politico, ma anche quello mediatico che abitualmente lo scimmiotta, pur prendendone ogni tanto le distanze, Matteo Renzi può considerarsi fortunato di avere ricevuto una solidarietà unanime, da esponenti di tutte le forze politiche, per quei due bossoli speditigli al Senato e intercettati dalle Poste. Persino i grillini – e non solo per bocca del senatore Stefano Buffagni, indicato da qualche giornale, ma anche per iniziativa digitale del loro più alto in grado nel governo, che è naturalmente il ministro degli Esteri Luigi Di Maio – hanno deplorato il gesto intimidatorio contro il pur responsabile principale della caduta e dell’allontanamento dell’adorato Giuseppe Conte da Palazzo Chigi.

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Nicola Zingaretti non ha voluto essere da meno, per cui ha mandato un pur metaforico “abbraccio” a Renzi, contemporaneamente indicato da Walter Verini, in una intervista, il colpevole dello snaturamento  procurato al Pd quando lo guidava. Altro che l’Etna quale forse Renzi si considera, visto che gli scienziati assicurano che le eruzioni del vulcano  siciliano fanno paura ma salvano il pianeta. Già i leghisti della prima ora, del resto, esordirono negli anni Novanta imbrattando qualche ponte dell’autostrada Milano-Venezia per arruolare la lava contro la mafia e scrivere con la pece: “Forza Etna”.

La sorpresa, una volta tanto gradevole, almeno per un ingenuo cronista politico, è che proprio nessuno, né fra i politici né fra i tanti giornali che si pubblicano nel nostro Bel Paese, ha accusato Renzi di essersi spedito da solo quei due proiettili per ripararsi dalla campagna pur procuratasi con l’errore di quell’intervista e altro ancora al principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammad bin Salman: quello già sospettato allora di avere fatto uccidere e tagliare a pezzi nell’ambasciata saudita in Turchia il giornalista dissidente Adman Khashoggi.

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Pensate, è riuscito a resistere ad ogni tentazione satireggiante in direzione di una simulata intimidazione persino Il Fatto Quotidiano, fra vignette, “cattiverie” di giornata e allusioni del direttore in persona in quei mattinali che sembrano spesso i suoi editoriali. L’unico cedimento anti-renziano è stato oggi quel richiamino in prima pagina di un corsivo di Gian Giacomo Migone, indignato perché Renzi, praticamente al soldo del principe saudita, suo “secondo datore di lavoro”, dopo il Parlamento cui è stato eletto, non si sia ancora dimesso spontaneamente o non sia stato costretto a farlo, per esempio, dalla presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. Che è stata invece la prima a dolersi per iscritto e a voce di quei due bossoli.

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Ma questo corsivo dell’ex senatore della sinistra Migone, va detto con franchezza, è niente rispetto alla Verità di Maurizio Belpietro, che ha sparato in prima pagina contro il leader di Italia Viva questo richiamo, tutto in nero: “Renzi d’Arabia ora  deve vedersela con la vedova del giornalista massacrato”. Cioè con la fidanzata dell’ucciso, Hatice Cengiz, ancora stupìta che un ex presidente del Consiglio italiano abbia potuto scambiare per un riformista, o un protagonista del “Rinascimento” saudita, un uomo come bin Salman.

Consentitemi tuttavia di rimanere fedele alla convinzione di Andreotti che a pensare male si faccia peccato ma s’indovini, sospettando della sincerità del ringraziamento di Renzi per l’abbraccio a distanza ricevuto da Nicola Zingaretti.

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