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“Scrivere solo Giorgia si può fare. La riforma del premierato nasconde insidie”. Parla l’on. Peppino Calderisi

Giorgia Meloni

Intervista all’on. Peppino Calderisi, fino al 2013 in Parlamento e uno dei massimi esperti di leggi elettorali, sulla riforma del premierato e sulle dichiarazioni della Premier Giorgia Meloni sulle prossime elezioni europee 

“Scrivete solo Giorgia”. Con questo appello la Premier Giorgia Meloni ha firmato la chiamata al voto per i suoi elettori alle prossime elezioni europee. La Premier, in questo modo, ha voluto cavalcare, da un lato, la retorica dell’estrazione popolare, peraltro aderente alla sua storia personale. Dall’altro ha voluto scrivere anche il suo nome nella tradizione, relativamente recente, di iper-personalizzazione della politica, quella per cui anche il cognome diventa un orpello superfluo.

Una personalizzazione che, all’interno della riforma costituzionale del premierato, diventa un mezzo di espressione dell’accountability, della possibilità di individuare un responsabile.

Di tutto questo ne abbiamo parlato con l’on. Peppino Calderisi, fino al 2013 in Parlamento con Forza Italia e il Popolo della Libertà e uno dei massimi esperti di leggi elettorali. 

La Premier Giorgia Meloni, dalla convention di Pescara, ha esortato i suoi elettori a votarla scrivendo sulla scheda elettorale solo il suo nome. È una modalità di espressione del voto accettabile?

La legge e la giurisprudenza consentono di farlo, Vige, tra l’altro, il principio della volontà dell’elettore. L’unico problema nasce qualora ci siano in liste diverse altre persone che si chiamano Giorgia o “dette Giorgia”. Se l’elettore scrive Giorgia nel riquadro di Fratelli d’Italia non c’è problema, ma se, come spesso succede, molto più di quello che si pensi, un elettore lo scrive nella scheda in un punto qualsiasi questo diventa un problema.

Qualora dovessero esserci più persone che si chiamano Giorgia questa modalità di espressione del voto rischia di portare all’annullamento del voto. Però dal punto di vista formale, giuridico, della normativa e della giurisprudenza la cosa è fattibile. Il caso più noto è quello di Marco Pannella, era Giacinto Pannella detto Marco. Giorgia Meloni si presenta come Giorgia, sui manifesti elettorali c’è scritto Giorgia, ha scritto un libro dal titolo “Io sono Giorgia”, insomma è incontestabile che si presenti così. Ma, ripeto, i problemi nascono qualora, in caso di più candidati con quel nome, gli elettori scrivano il suo nome al di fuori del riquadro di Fratelli d’Italia.

Tra l’altro questo potrebbe prestare ad azioni di disturbo degli avversari.

Se gli avversari avessero capito l’antifona potrebbero candidare molte Giorgia, solo per creare l’incidente. Quando saranno presentate le candidature eventualmente conteremo le Giorgia.

Secondo l’avvocato Gian Luigi Pellegrino gli uffici elettorali potrebbero non accettare quello che non è un soprannome. È un rischio?

Chi stabilisce qual è un soprannome? Non è registrato all’anagrafe. Marco Panella non era registrato all’anagrafe, era Giacinto Pannella. Questo mi sembra difficilmente contestabile. Poi, dal punto di vista dell’opportunità e della scelta politica possiamo dire tantissime cose in senso contrario ma un problema formale non c’è in base alla normativa vigente.

Passando alla riforma del premierato la Fondazione Magna Carta ha sollevato diverse una criticità relativa al voto estero.

La Fondazione Magna Carta presenterà a breve insieme ad altre associazioni una nuova iniziativa. Noi abbiamo già sollevato la questione, l’ha riconosciuta anche la ministra Casellati, non fornendo però soluzioni e dicendo che la legge elettorale sarà fatta solo dopo la riforma costituzionale. Ma così si rende irrisolvibile la questione, esaminiamo il perché. Oggi ci sono quasi cinque milioni di elettori residenti all’estero che esprimono solo pochi seggi, una sorta di diritto di tribuna, 8 alla Camera e 4 al Senato, un numero bassissimo in rapporto agli elettori. L’articolo 48 e gli articoli 56 e 57 nel prevedere la circoscrizione estero e assegnando a tale circoscrizione, un numero di seggi limitato rispetto al numero degli elettori, ha di fatto derogato al principio del voto eguale.

Ci può fare un esempio con i numeri?

Certo. La Camera ha 400 seggi di cui 392 assegnati alle circoscrizioni del territorio nazionale e 8 sono assegnati alla circoscrizione estero. In Italia ci sono 46 milioni circa di elettori, quindi vuol dire un seggio ogni 117mila elettori. Nella circoscrizione estero ci sono 4,6 milioni di elettori, quindi un seggio ogni 593mila elettori. Tra questi due numeri c’è un rapporto di uno a cinque, cioè se il voto fosse eguale gli elettori residenti all’estero dovrebbero esprimere 40 seggi alla Camera e non solo 8.

In che modo questo diventa un problema per l’elezione diretta del Premier?

Nel momento in cui si prevede l’elezione a suffragio universale e diretto del premier gli elettori residenti all’estero contano per tutti i loro voti e quindi potrebbero determinare la vittoria di un premier il cui schieramento è arrivato secondo per numero di seggi.

Come si risolve questo problema?

Stabilendo che l’esito elettorale è deciso in base ai seggi, cioè assegnando la vittoria al raggruppamento politico e al candidato premier ad esso collegato che ha ottenuto più seggi. In questo caso i voti degli elettori residenti all’estero sono ricondotti ai seggi rispettando l’impostazione costituzionale. Ma se non viene prevista in Costituzione una norma che chiarisca questo punto, che leghi l’elezione ai seggi e non ai voti, il problema può esplodere.

Basta una legge elettorale per risolvere questo problema?

No. La legge elettorale da sola non basta, serve una norma di rango costituzionale che dia copertura costituzionale alla disciplina elettorale ordinaria che deve dare soluzione al problema, soprattutto per il ballottaggio. Ecco, la legge elettorale si farà dopo, come dice il Governo, ma bisogna affrontare questo nodo già nel testo della riforma costituzionale. E poi vorrei aggiungere che c’è anche un altro problema.

Quale?

Per Camera e Senato l’elettorato attivo è stato equiparato. Ma questo non significa che non potrebbe verificarsi un risultato difforme tra le due Camere. L’articolo 56 e 57 della Costituzione hanno alcune differenze sia per la ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni (al Senato c’è un numero minimo di seggi per regione), sia per l’assegnazione dei seggi alle liste (al Senato è su base regionale). E poi sono certamente diverse le candidature e quindi gli elettori potrebbero esprimere voti diversi.

E cosa potrebbe capitare?

Un esito elettorale difforme tra Camera e Senato! In questa eventualità cosa si fa? L’unica strada è prevedere il ballottaggio: con un voto unico si decide sia per Camera che per Senato. Ma una norma del genere non la può fare la legge elettorale da sola. Serve una norma di rango costituzionale anche in questo caso, come per il problema del voto estero.

La questione della legge elettorale è legata, anche, alla legittimazione del Premier.

È un problema grande come una casa. La riforma del premierato vuole eleggere il Premier d’Italia, ma è un Premier eletto dalla maggioranza o da una minoranza? Può essere eletto un premier che vince al primo turno con il 35%? Oppure, come avviene in tutti gli altri paesi in cui si elegge un vertice dello Stato, ci vuole il 50% e, in mancanza, il ballottaggio?

Non un tecnicismo ma un problema di contenuto.

Certo. Perché se è necessaria la maggioranza assoluta vuol dire che per la scelta del Premier è decisivo l’elettorato “di mezzo”, quel ceto medio che è su posizioni di maggior equilibrio. Mentre se per vincere le elezioni fosse sufficiente la maggioranza relativa vi sarebbe il rischio di eleggere un premier su posizioni estremiste. Il testo della riforma non prevede la maggioranza assoluta e neppure una soglia minima e l’eventuale ballottaggio. Questo è molto grave.

Perché la maggioranza non ha affrontato il tema sinora?

Abbiamo sentito delle aperture al ballottaggio da parte del relatore, il senatore Balboni e di alcuni altri esponenti della maggioranza; invece, la Lega è fortemente contraria. Non è un caso che Salvini non voglia il ballottaggio, magari spera di poter tornare al 34% che aveva già raggiunto cinque anni fa ma sa che il 50% sarebbe per lui proibitivo. Però questo è un punto fondamentale per dare al paese un sistema equilibrato.

Leggi anche: Perché Meloni trasforma le Europee in un referendum su Giorgia

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