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Senato in subbuglio sul ddl Zan

Commissioni Del Senato

I Graffi di Damato. Al Senato come allo stadio, fra le proteste della presidente Casellati

Forse hanno esagerato al Foglio con quel titolo in prima pagina sul “Carnevale in Senato”, fuori stagione naturalmente, per il “ballo in maschera” in cui si sarebbe trasformato l’approdo in aula del disegno di legge contro l’omotransfobia del deputato del Pd Alessandro Zan, accorso in strada in maniche di camicia per sollecitarne l’approvazione. Anche se, in effetti, “urla, fischi e pernacchie”, come riferisce sempre Il Foglio, hanno sommerso quello che doveva essere solo il preambolo procedurale della discussione, conclusosi con la pregiudiziale di incostituzionalità bocciata per 12 voti di scarto, il clima è stato più da stadio che da aula parlamentare. E lo ha avvertito e denunciato per prima la presidente del Senato in persona Maria Elisabetta Casellati Alberti – sfottuta abitualmente dal Fatto Quotidiano come “Queen Elisabeth” – avvertendo la platea che “i mondiali, anzi gli europei, li abbiamo già vinti” nello stadio giusto.

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La più clamorosa stravaganza, nell’aula di Palazzo Madama, mi è sembrata quella – senza precedenti, che io ricordi – dell’ex presidente Pietro Grasso, oggi senatore semplice, diciamo così, della sinistra dei “liberi e uguali”, che ha intimato alla presidente in carica di “non permettere” il rinvio del provvedimento in commissione. Dove i leghisti avevano proposto appunto di rimandarlo per compiere in extremis un rapido tentativo di larghissimo accordo su qualche modifica allo scopo di metterlo poi al riparo da rischi di bocciatura in aula a scrutinio segreto. La classe evidentemente diventa acqua quando la passione politica prende la lingua, oltre che la mano. Di solito un ex presidente non si rivolge così al suo successore, specie se si tratta rispettivamente di un uomo e di una donna, pur nel rispetto – per carità – della parità di genere. Che non va confusa naturalmente nel linguaggio politico con l’”identità di genere” diventata nel testo della legge all’esame del Senato contro l’omotransfobia uno dei punti più controversi.

Fra i giocatori di questa partita arrivata nello stadio sbagliato c’è il senatore e leader di Italia Viva Matteo Renzi. Che, pur avendo i suoi deputati partecipato alla votazione del provvedimento a Montecitorio, condivide la necessità di qualche ritocco nell’altro ramo del Parlamento, peraltro sopravvissuto alla sua famosa e sfortunata riforma costituzionale del 2016, perché consapevole che, così com’è, esso rischia una brutta fine. E ciò considerando anche gli auspici di modifiche – neppure di bocciatura – espressi dal Vaticano per mettere, fra l’altro, le scuole cattoliche al riparo dall’insegnamento e dalla propaganda della cosiddetta cultura gender. Secondo la quale conta praticamente più il genere che si avverte o si desidera che quello biologico.

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Ora, senza volere entrare nel merito dei sospetti, a dir poco, maturati negli uffici della Procura di Roma, trovo, sempre a dir poco, curiosa la coincidenza fra questa nuova partita anche di Renzi, e non solo dell’altro Matteo, che è Salvini, e l’inchiesta giudiziaria comunicata a mezzo stampa per finanziamento illecito e false fatturazioni a carico dell’ex presidente del Consiglio e, rispettivamente, di Presta padre e figlio, Lucio e Niccolò. Che avrebbero trafficato, diciamo così, con un documentario televisivo di Renzi su Firenze. Sono diabolicamente sfortunati questi magistrati che arrivano sempre nel momento sbagliato al posto secondo loro giusto, ma che spesso si rivela poi sbagliato anch’esso, magari già in fase di indagini, senza neppure un rinvio a giudizio.

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