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“Smart working? Governo, sindacati e privati: ecco cosa c’è da fare”. Intervista a Valeria Fedeli

Romanzo Calcistico

Conversazione con l’ex ministro dell’istruzione Valeria Fedeli sul tema del mondo del lavoro, delle sue innovazioni e delle prospettive future 

Proroga dello smart working, settimana lavorativa da 4 giorni e contrasto al lavoro povero. Sono molti i temi che agitano il mondo del lavoro, stimolato a cambiare dalla riorganizzazione imposta dalle restrizioni dovute alla pandemia da Covid 19. Quella dello smart working è stata un’occasione non pienamente sfruttata. Secondo i dati dell’analisi di Inapp nel nostro paese solo il 14,9% degli occupati opera a distanza, con un potenziale pari a circa il 40%. “Svolgere una professione teoricamente telelavorabile è una condizione spesso necessaria, ma non sufficiente, perché si abbia la possibilità di sperimentare lavoro da remoto – dice il Presidente di Inapp Sebastiano Fadda -. Dai dati non emerge quel cambio di paradigma lavorativo che la pandemia sembrava aver innescato, almeno nel nostro Paese”. Come se l’esperienza della pandemia sia stata vana e il ritorno alla normalità stesse vanificando le potenzialità del lavoro a distanza. Questo a causa di una ridotta capacità di introdurre radicali innovazioni nell’organizzazione del lavoro. Secondo l’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, i lavoratori da remoto oggi sono circa 3,6 milioni, quasi 500mila in meno rispetto al 2021 e in piena pandemia erano 7 milioni, un terzo della totalità dei lavoratori dipendenti.

Delle potenzialità inespresse del mondo del lavoro italiano e delle priorità per una sua riforma ne abbiamo parlato con l’ex ministro per l’Istruzione ed ex senatrice del PD Valeria Fedeli.

Il decreto milleproroghe ha reintrodotto il termine per lo smart working senza accordo aziendale fino alla fine di giugno. Nel privato riguarderà sia i lavoratori fragili che quelli con figli under 14, mentre nel pubblico solo i fragili. Secondo lei perché non si riesce a sistematizzare questa nuova modalità di lavoro ma si procede di proroga in proroga?

Perché non si riescono a comprendere, sia culturalmente che economicamente, i cambiamenti introdotti dalla digitalizzazione dei sistemi del lavoro. Le nuove forme di lavoro digitale hanno bisogno di tre cose: primo la formazione sull’utilizzo degli strumenti, secondo gli strumenti di modifica dell’organizzazione del lavoro per poter essere in grado di gestire i nuovi processi digitalizzati e tre occorre ripensare sia il modello di lavoro che l’organizzazione. Questi sono tre punti di fondamentale arretratezza e si rischia di non comprendere gli straordinari, dal mio punto di vista, vantaggi che arriverebbero dall’utilizzo della digitalizzazione anche in ambito lavorativo. C’è bisogno veramente di fare investimenti per queste scelte che permetterebbero un miglior bilanciamento tra vita privata e vita professionale.  C’è bisogno di questa rivoluzione dentro al sistema del lavoro sia pubblico che privato. Tra l’altro ci sono esperienze importanti nel mondo privato ma ce ne sono meno nel lavoro pubblico.

Perché secondo lei?

Perché nel lavoro pubblico c’è bisogno di rimettere in asse tutti i punti di responsabilità, oltre che di trasparenza e stabilire tempi definiti di lavoro. Invece sinora siamo andati avanti con proroghe solo per alcune tipologie di soggetti, come se si considerasse lo smart working utile solo a chi ha delle fragilità e non, invece, come un nuovo modello di organizzazione del lavoro e quindi anche dei tempi di vita dei tempi delle città.

Un beneficio anche per l’ambiente. Secondo un recente studio Enea lo smart working permette di evitare l’emissione di circa 600 chilogrammi di anidride carbonica all’anno per lavoratore (-40%) e di risparmiare, ogni anno e per ogni lavoratore, 260 litri di benzina o 237 litri di gasolio.

Esattamente quindi è proprio una rivoluzione che ha un benefico impatto ambientale, sociale ed economico. Migliorano le condizioni di vita e di lavoro delle persone. Però perché sia così bisogna riconoscerlo politicamente, culturalmente, economicamente e socialmente. E invece si procede di proroga in proroga, dimostrando una sorta di “pigrizia normativa”. Vorrei aggiungere un altro aspetto.

Prego.

C’è un tema esploso in Italia durante la pandemia, quello della connettività. E questo è un altro tema che abbiamo toccato con mano. Del resto non è un caso se la digitalizzazione sia uno degli investimenti strategici del PNRR. Quindi più velocità di connessione e uniforme distribuzione in ogni ambito territoriale.

Sempre in tema di riorganizzazione del tempo del lavoro, il segretario della Cgil Maurizio Landini ha proposto di aprire un dibattito sulla settimana da quattro giorni.

È un tema che sto approfondendo perché anche qui dipende da a cosa lo si connette. Secondo il ragionamento di Landini siccome c’è una maggiore produttività del sistema, quindi delle aziende, quindi del sistema economico che diviene in grado di redistribuire una maggiore ricchezza non solo in termini di salario ma anche in tempo di lavoro. Bisogna fare molta attenzione perché storicamente, quando negli anni ‘70 si è provato a proporre la riduzione dell’orario a parità di salario, penso alla Francia, è stata un’esperienza che non ha portato nulla, nel senso che non è andata avanti. Questa resta una sfida che va colta però non con superficialità ma contestualizzando a quali condizioni ciò è possibile, per chi, in che tempi e in che modi senta.

Nel corso della passata legislatura ci sono state alcune proposte di legge in materia di salario minimo. Adesso sembra uscito fuori dall’orbita dell’attuale Governo. Secondo lei come si deve operare per contrastare il lavoro povero?

Il contrasto vero al lavoro povero, e lo dico dal mio punto di vista, presuppone una scelta di politica per la crescita che è fatta di politiche industriali, investimenti in ricerca e formazione permanente che puntino davvero alla qualità del lavoro. Significa puntare sull’industria 4.0, sulla formazione, sulle infrastrutture produttive. Quando si parla di salario minimo legale si parla dei settori non coperti dalla contrattazione collettiva. E secondo me questo è già un primo punto di chiarimento. Poi nell’immediato per superare il lavoro povero credo che si debba fare un taglio strutturale del cuneo contributivo e, ovviamente mettendo, l’Italia nella condizione di essere pari ad altri paesi europei, penso in particolare alla Germania, e quel taglio del cuneo fiscale deve andare assolutamente ad aumentare il salario dei lavoratori. Non va redistribuito alle imprese, se si vuole affrontare il cosiddetto lavoro povero che non è immediatamente solo connesso al basso salario.

Quindi investimenti e taglio del cuneo fiscale.

Sì, per puntare a superare il lavoro povero occorre puntare sul lavoro di qualità e quindi sugli investimenti che qualificano anche il lavoro stesso. Quindi, per ricapitolare, sostegno alle innovazioni delle imprese e taglio del cuneo fiscale a vantaggio dei lavoratori. Ma aggiungo anche altri due aspetti.

Prego.

Bisogna operare una stretta molto seria sulle finte partite Iva, sulle collaborazioni, bisogna chiudere con i tirocini extra curriculari e puntare tutto. sul sostegno dell’apprendistato come canale privilegiato di ingresso nel lavoro dipendente. E ancora, accanto alla legge sul caporalato bisogna assolutamente introdurre un programma di protezione e di sostegno per le vittime di questa piaga. Cioè noi dobbiamo accompagnare le denunce che si fanno sul lavoro povero, che spesso è vero e proprio sfruttamento. Io spero che nel programma del nuovo centrosinistra ci sia l’istituzione del reddito di formazione.  Una delle ragioni per cui si continua ad avere, in questo paese, il lavoro povero, oltre alle questioni discusse prima, ha a che fare con l’assenza di reddito di formazione, cioè non si punta ad allineare la formazione, le competenze con i bisogni dei cambiamenti che ci sono nell’economia reale.

Quali sono, secondo lei, le priorità per il mondo del lavoro?

Abbiamo bisogno di un nuovo patto sociale con tutte le parti sociali. Non lo consideriamo un’astrazione perché da lì che devono uscire le priorità condivise all’interno di una visione di paese, di priorità condivise. Al centro di questo nuovo contratto per la crescita ci devono essere il lavoro di qualità, il sostegno al lavoro delle donne, che si sostiene con congedi paritari obbligatori e facoltativi uguali all’interno della coppia, sostegno alle imprese e servizi educativi universali, penso alla fascia d’età da 0 a 6 anni, per tutti gratuito. Queste sono le politiche concrete che aumentano davvero sia la qualità del lavoro sia la parità nel lavoro.

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